Germinazione di un post

In principio è il seme, ovvero l’argomento; perché io non posso parlare di tutto, anzi al contrario mi riesce discretamente bene il parlare di niente.
L’individuazione di un tema è il 90% della stesura di un post, per quanto mi riguarda.

Non posso parlare di cose che non conosco, perché rischio di sparare un mucchio di balle inutili; e non voglio parlare di cose che conosco sin troppo bene, di cose troppo personali, che risulterebbero tra l’altro prive di interesse.

Non parlo di politica (ogni opinione è rispettabile e al tempo stesso confutabile), non parlo di cronaca (parlerei per sentito dire), non parlo di calcio, non seguo le serie televisive né men che meno i reality show, o i talent.

Anzi la tv non la guardo proprio. 

Ecco: mi sono già segata il 99% dei trending topic.

Non è così facile: a volte ci sono argomenti che arrivano nella mia testa e fanno la fine del sasso nello stagno: affondano.

Magari rimbalzano un po’ se lanciati di piatto ma poi… PLUF!

Ma quando un buon input raggiunge i miei pensieri, terreno fertile, lì attecchisce ed inizia a germogliare: un’idea qua ed una là, buttano tanti ramoscelli.

Allora inizio a lavorare di intreccio: dapprima li scrivo così come vengono, di getto: istintivi, distinti, lontani, slegati, sconnessi. Pensieri satellite che gravitano attorno al pianeta argomento.

È solo mentre scrivo che si aggiungono nuovi particolari, dalla mente passano alla mano.

Poi piano piano delineo il fusto, trait d’union dei vari elementi, ed ecco che il post sbuca dal terreno. 

Da qui parte la maturazione: leggi e rileggi, correggi, pota, sostituisci qualche termine, fino a che la rilettura non diventa immutata per alcune volte.

Un po’ è perfezionismo, sono un’amante della consecutio temporum; un po’ temo gli orrori ortografici; ma soprattutto devo tener d’occhio il correttore automatico perché è capitato che io scrivessi vagonate    e lui capisse vaginale; mica la stessa cosa proprio.

A questo punto serve creare il titolo, che deve riassumere senza rivelare troppo, ma nemmeno portare fuori strada il lettore, altrimenti dopo tre righe mi abbandona.

Le parole chiave, fondamentali per la classificazione del post e la possibilità di essere agganciati dai motori di ricerca, pena lo scriversi addosso.

Ed in ultima un’immagine di presentazione; a volte questo é il primo step perché mette allegria anche a me rivedere una foto nelle fasi di stesura.

Quando non manca nessuno di questi elementi, ritengo la stesura completa e pubblico.

Ad ogni modo i post meglio riusciti sono quelli che hanno ricevuto il concime del mio trasporto, quelli che, per spiegarmi meglio, hanno emozionato e coinvolto anche me mentre li scrivevo.

Tradizione

La mia nonna materna osservava precisi rituali per ogni ricorrenza che ritenesse importante.

A Natale annodava vagonate di tortellini, per omaggiare tutti coloro che avrebbero potuto passare a farle gli auguri, salvo poi riporre i rimanenti in freezer creando una scorta da smaltire entro novembre dell’anno successivo.

Nel suo intento il quantitativo era limitato ma poi avanzava ripieno così stendeva altra pasta; avanzava pasta e allora mescolava il macinato: il circolo vizioso del tortellino.

Il venerdì che precede la fine del carnevale, alias ‘Venere gnoccolaro’ veniva celebrato con gli gnocchi, incurante del fatto che ad esempio a me gli gnocchi non piacevano.

Alla fine di giugno era il turno della barca di san Pietro.
La preparazione di questa stranezza le impegnava un pomeriggio intero perchè doveva dapprima cercare il vaso entro cui riporre l’albume, poi riempire il vaso di acqua, quindi attendere che l’acqua fosse ben ferma.

A questo punto bisognava disporre di un uovo, o eventualmente chiederlo ad una vicina di casa; oppure mandare una delle nipoti al supermercato a comperarlo. Un uovo, grazie.

Quindi separare l’albume dal tuorlo e calarlo con estrema delicatezza dentro la boccia di acqua ferma.

Bisognava poi collocare la boccia in mezzo al prato, e lasciarla riposare per la notte intera; così al mattino si poteva apprezzare la formazione del veliero.

Immancabilmente mi trovavo a dover dissimulare la mia delusione: io mi aspettavo un qualcosa di strutturato, delle vere e proprie vele, con tanto di alberi a reggerle, tipo quelli che stavano esposti nelle vetrine dei negozi di modellismo; invece vedevo solo dei filamenti di albume d’uovo in sospensione nell’acqua.

Certo che se invece che di veliero mi avesse parlato di barca magari abbassavo anche io le pretese.

Ma quello scarabocchio gelatinoso dentro al vaso in mezzo al prato tale rimaneva.
E poi, avrei meritato la santa inquisizione per il mio livello di eresia, lo ammetto: “Nonna, ma se lo facevi ieri o lo rifai domani, viene fuori la stessa roba no?”

“Eh no! solo la notte tra il 28 e il 29 giugno si può formare! Ma come non vedi? Guarda sotto c’è la barca, guarda sopra ci sono le vele…”

A volte giustificava la mal riuscita con qualche dettaglio tecnico tipo “stanotte ha piovuto un po’” oppure “è caduto un pochino di tuorlo dentro il vaso”.

Poi tutto questo lavoro certosino veniva rovesciato nel secchiaio, in attesa di ripeterlo, con maggiore successo, l’anno seguente.

Oggi sembra promettere una notte serena, e l’uovo in frigo ce l’ho: potrei provare a smontare la teoria ripetendo l’esperimento stanotte, un giorno in ritardo rispetto a quello previsto (facciamo due dato che siamo in anno bisesto). 

Senza rete

Ci sono quelle giornate in cui ti rendi improvvisamente conto che sei senza rotelle alla bicicletta, senza braccioli in acqua alta, senza maestra che ti corregge i compiti, senza pagina delle soluzioni ai cruciverba, senza istruttore di guida al tuo fianco… In equilibrio su un cavo di acciaio a 100 metri da terra e senza rete!

Riccione 2016 – giorno 3

Si conclude con un’enorme soddisfazione questo campionato italiano per nuotatori master.

Nei giorni precedenti ho odorato il profumo del podio e assaggiato il gusto del legno, oggi è arrivato il più prezioso dei metalli, nella staffetta 4×50 stile libero.

Un risultato da dividere in quattro? No! Un risultato da moltiplicare per quattro!!!

Se posso arrogarmi un merito è quello di aver rotto l’anima a chiunque ne avesse i requisiti per formarle e presentarle, ‘ste benedette staffette.

La medaglia della rompiscatole mi spettava comunque di diritto, è arrivato anche l’oro!

Ma ciò che entusiasma, al di là del risultato personale o collettivo, è lo spirito di questo genere di competizioni: vedere scendere in acqua un ragazzo ipovedente, o guardare le staffette di 320 anni (somma minima) di età tuffarsi e nuotare con la stessa grinta dei giovanissimi è già di per sè una lezione di vita.

Nell’area antistante la partenza dell’ultima gara mi sorprendo a considerare che 10 anni fa mi trovavo esattamente nello stesso luogo con le stesse persone che allora erano primi incontri, anche fortuiti, e oggi sono diventate delle vere e proprie amicizie.

Una delle sere precedenti passeggiando per il Viale Ceccarini ho acquistato per le mie bimbe una ‘patata’ fatta di segatura che immersa in acqua e opportunamente abbeverata dovrebbe buttare dell’erbetta: la adotto a simbolo di queste amicizie, per me importantissime, nate nell’acqua e cresciute grazie alla stessa.

Gli starter oggi sono stati molto lenti, forse il loro intento era farti scendere il sangue alla testa tra l’a posto e il beep, in modo da privilegiare le energie mentali, che dove non arrivano le gambe arriva la testa.

Che altro aggiungere? Una volta finite le gare e chiuse le vasche si accende la musica e sul prato si riversano centinaia di persone elettrizzate, a festeggiare, a ritirare le medaglie, a scattare le foto di gruppo.

Le stesse persone che pochi giorni fa arrivavano a popolare lo stadio del nuoto e ora si accingevano ad abbandonarlo.

Persone che per alcuni giorni hanno vissuto al di fuori del tempo, senza età, e da domani ritorneranno alle loro occupazioni quotidiane, al lavoro e anche a pensare già alla prossima gara.

Colgo l’occasione per ringraziare chi mi ha fatto, a turno, da baby sitter, o meglio dire da badante forse, aiutandomi a recuperare tutto ciò che rischiavo di smarrire, automobile inclusa (a essere precisi avevo smarrito il parcheggio).

Io ho concluso il campionato con l’ultimo esperimento in materia di gelati: il cornetto choco-coco; ultimo perché ho capito che tutte le variazioni in tema di cioccolato sui gelati sono dei gran bidoni (quello che sembra un innocuo disco di copertura affonda le sue radici nella punta infima del cono).

Riccione 2016 – giorno 2

Una babilonia di regionalismi, un pout-puorrì di età, di specialità e di distanze ma l’argomento che rimbalza tra un gruppetto e l’altro è sempre il medesimo: come ti è andata la gara?

E lì si sciorinano considerazioni sulla propria prestazione, analizzata pezzo per pezzo, confrontata con quella degli avversari e con le proprie precedenti.

L’aria dentro gli spogliatoi è carica di umidità: lo sforzo per indossare il costumone raddoppia, credo che una parte della fatica accumulata nelle braccia dipenda proprio da questo.

Accetto l’offerta di utilizzare un po’ di borotalco che spingo dentro il costume indossato a metà, così mi ritrovo ad uscire dallo spogliatoio come una nuvoletta che emana strascichi bianchi e profumati.

Ancora prechiamata, formazione batterie, controllo cartellini; il sole ha scelto di nascondersi.

La gara del giorno è quella dei 50 m stile libero: metà distanza di quella del giorno precedente, metà tempo di svolgimento, anche i preparativi sono così rapidi che non ti lasciano il tempo di pensare.

E così si svolge la gara: senza pensarci, d’istinto, spingendo al massimo dal tuffo fino all’ultimo centimetro, più che si può.

Se per una volta venisse premiata l’esattezza del risultato cronometrico avrei fatto bingo: nemmeno a provarci mille volte potrei ripetere un tempo con zero decimi e zero centesimi.

Ma la classifica si stila come sempre in base all’ordine di arrivo, mi merito la medaglia di legno.

L’unica cosa che non è a metà oggi è il magnum che, non mi bidonano più, d’ora in avanti solo full-version.

Il sole ha deciso di non ritornare e cosi la giornata si conclude non con la spiaggia ma con passeggiata e aperitivo in viale Ceccarini: una serata calda, popolata e di pieno relax mentale.

(To be continued…)

Riccione 2016 – giorno 1

Come i tortellini che raggiungono il punto di cottura, le mie emozioni e i miei stati d’animo affiorano in questo brodo di stanchezza ed eccitazione.

Si è conclusa ieri la mia prima giornata di partecipazione ai campionati italiani master di nuoto, in corso a Riccione, iniziati martedì.

La colonna sonora di accompagnamento mentale si è aperta con ‘Venderó’ di Bennato perché anch’io, come Raffaele, non ho fatto il soldato; ma mi trovo a dormire sul cemento e recuperare inaspettatamente energie dopo il viaggio percorso in mattinata per raggiungere la località marina.

Al mio risveglio dopo lo scomodo pisolino attacca ‘Il mare d’inverno’ della Bertè, quando canta ‘e passerà il freddo, e la spiaggia lentamente si colorerà’: la coincidenza vuole che in questa estate 2016 il caldo sia arrivato esattamente in questi giorni.

L’impianto natatorio al mio arrivo era semi deserto, perché era orario di pausa pranzo: ora poco a poco i concorrenti ritornano, le donne indossano bikini tutti dello stesso modello a canotta, ma tutti diversi per fantasia e colore, ed è un clima festoso.

Quindi Loredana lascia spazio a Cher che, in questo caso è ironico, dal ritornello di ‘Dov’è l’amore’ grida ‘Non c’è nessuno / non c’è nessuno’: la vasca esterna brulica di nuotatori in fase di riscaldamento.

Il mio riscaldamento rivela l’inadeguatezza di un paio di occhialini con lenti scure ma assolutamente inaffidabili.

Ed ecco, arriva il momento della prima gara, il 100 m stile libero, a lungo atteso: a lungo ho pensato e ripensato a come sarebbe stato questa volta; uguale a tutti i precedenti, carico di tensione. Sarei riuscita a mantenere la concentrazione? 

È un po’ come la gravidanza: sai che il parto arriva ad una certa data, giorno più giorno meno, ma quando quel momento arriva veramente ti coglie impreparata e ti ritrovi ad esclamare ‘ma come? Ci siamo già?’ e non ti senti mai pronta.

Ma quando è l’ora non puoi tergiversare.

Sei lì in mezzo a tutte le avversarie, e scopri che tutte sono egualmente agitate, anche le più forti.

Le batterie vengono formate, le atlete ad una ad una vengono chiamate e salvate dal sole a picco; vengono disposte sotto un tendone per il controllo cartellini, quindi accompagnate ai blocchi.

Lo starter gracchia il via, incurante delle nostre angosce, e la gara si disputa.

La mente umana è meravigliosa perchè anche di fronte ad un imparzialissimo risultato cronometrico riesce a stilare una versione personale della classifica, infilando come perle in una collana tutta una serie di considerazioni che riqualificano la propria prestazione.

Un po’ come dopo le elezioni politiche: tutti hanno vinto.

E poi resta il tempo per incontrare molte persone che attendevi di rivedere da un intero anno; per scambiare pettegolezzi (in questo gli uomini si rivelano formidabili); per gustare il nuovo double chocolate che è un po’ una chiavica perché era più corretto chiamarlo half ice cream o meglio ancora traces (of ice cream); per incontrare nuove persone; per scattare selfies e farsi fotografare; per quell’atmosfera gioiosa che precede la partenza delle mistaffette.

(To be continued…)

The day after (notte dopo degli esami)

Sui titoli delle tracce della maturità in molti hanno detto la propria, e tutte queste opinioni si riassumono in due macro gruppi:

  1. ‘i titoli sono belli’
  2. ‘i titoli sono brutti’

A me dalla seconda elementare in avanti avevano insegnato che gli aggettivi ‘bello/brutto/buono/cattivo’ vanno usati con parsimonia e sostituiti con altri più significativi.

Così quando il nostro presidente del consiglio twitta ‘le tracce mi sembrano belle’ a me cascano le braccia (tra l’altro il fatto che gli sembrino mi lascia il dubbio che non le abbia manco lette).

Non ho sentito una, una sola, considerazione significativa: non ho sentito dire nemmeno un ‘io avrei scritto così’; ma mica mi aspettavo un tema intero, giusto un pensiero, due righe, 140 caratteri ecco: invece il nulla cosmico!

Io ci ho riflettuto, e non è vero che non ho niente da dire; rileggendo lo stralcio tratto dal saggio di Eco ‘Sulla letteratura’ e riesaminando i quesiti posti, qualcosa da dire di mio ce l’ho.

Fermi vi prego… Non scappate!

Lungi da me svolgere analisi del testo, considerazioni critiche di livello o rimandi di esempi alla letteratura del novecento, anche perchè non sono in grado di fare nessuna di queste cose.

Giusto i miei 2 cents sull’argomento.

In estrema sintesi, per chi non ha voglia di rileggersi la traccia, Eco afferma:

  • che la letteratura è immateriale;
  • che è un modo dilettevole per un popolo di sentirsi unito e di tramandare ed evolvere il linguaggio, senza imposizioni o regole esterne;
  • che non bisogna temere lo svilimento o la banalizzazione della lingua (lui parla di trionfo dell’italiano medio);
  • che le opere letterarie vanno lette e non interpretate;

o almeno questo ho inteso io.

Vero, quanto afferma è vero, verissimo; concordo in pieno, quoto si dice oggi.

Ho sempre apprezzato Eco come scrittore; non ho letto ‘Il nome della rosa’ perché ormai mi avevano già rivelato il finale e la lettura si rivelava troppo impegnativa per non avere nulla che mi sorprendesse a fine libro.

‘Il secondo diario minimo’ era uno dei miei libri preferiti: una collezione delle bustine di minerva (gli articoli che chiudevano l’Espresso) di cui memorabile quella in cui descriveva quali caratteristiche rendono un film pornografico:

un film si rivela pornografico quando non c’è nulla da raccontare (perché tutto si riduce alle scene di sesso) e allora per tirarla un po’ in lungo si dà rilevanza a dettagli che non ne hanno; ad esempio se Gilberto per andare da Gilberta prende l’auto e il film descrive tutto il tragitto fino al cambio delle marcie, è un film pornografico!

(vado un po’ a memoria eh…!)

Ed ecco le mie riflessioni, RANDOM, le butto là

  • letteratura immateriale: si tratta di aria fritta; come è aria fritta la musica, un po’ meno i dipinti e le statue; ma sempre espressioni artistiche sono, modi alternativi di comunicare le proprie emozioni, aria fritta anch’esse, ma vitali e fondamentali;
  • senza imposizioni: mi è venuta in mente la storia del petaloso! così aveva risposto la Crusca al piccolo Matteo: se il tuo vocabolo si rivelerà utile, entrerà a far parte della lingua (io sto ancora attendendo uno solo che dica ‘eh si, ci voleva proprio l’aggettivo petaloso, altrimenti non avrei saputo definire questo fiore con molti petali’… vabbè)
  • non temere la banalizzazione: leggete pure Fabio Volo (e lasciate che lui scriva) purché leggiate!
  • prima di trarre le conclusioni su quanto altri hanno scritto, leggete leggete e leggete; poi se volete scrivere qualcosa, scrivetelo di vostro pugno.

E ora mi auguro che questi due cents nella fontana di trevi della maturità non mi facciano ritornare gli incubi di doverla ripetere.

Alzi la mano…

Io continuo a non capire dove sia l’uscita di sicurezza da questo circolo vizioso.

Ho letto le tracce dei temi proposti ai maturandi, e ho deciso di scrivere questo post tristissimo.

Ma cosa si mira a valutare esattamente con un simile esame?

Le sole tracce per essere comprese e valutate (= che tema faccio? In quale posso esprimermi meglio?) richiedono un paio d’ore di analisi.

Poi dopo che hai letto tutto, cercando di capire cosa vogliono da te, il baratro: che cosa vuoi che dica io, candidato, che non sia già stato detto nella formulazione?

Mi chiedo se veramente io, Elena, oltre 20 anni fa ho svolto un intero tema e questo ha pure conseguito una valutazione positiva, anzi addirittura buona?

Perché a mio tempo… Che tema avrò fatto? Boh… San Google cerca maturità 1992 … Ecco, trovato! 

Intanto le tracce erano molto più brevi.

Poi … Udite udite… I titoli erano ovviamente diversi ma lo svolgimento poteva essere se non lo stesso, molto simile, intercambiabile.

Perché PURTROPPO, e sottolineo PURTROPPO, i temi chiedono fondamentalmente sempre la stessa cosa: parlare di niente.

Quello proposto oggi non è ‘il tema su Eco’ ma sulla funzione della letteratura a partire da alcune considerazioni di Eco.

Poi un tema sul voto alle donne, mentre nel 1992 chiedevano di esprimere considerazioni sul suffragio universale… ‘Mmazza oh che fantasia! 

Io non ricordo che tema ho svolto all’epoca, tanto anche col senno di poi uno vale veramente l’altro.

Oggi si chiede al maturando di esprimersi sul potere immateriale della letteratura, ieri gli si chiedeva, parlando del divario generato dalla tecnologia e dalla sua evoluzione (ma la domanda, vuota come una tromba d’aria, si adatta bene a molteplici contesti):

Quali le possibili soluzioni a così gravi problemi e quali i valori a cui richiamarsi per rispondere a queste nuove difficili sfide?

Ma che caaaaazzzzz può rispondere un povero cristo per rimanere nell’ambito delle sue idee o di quello che ha potuto imparare?

Perché a me una delle cose fondamentali che hanno insegnato è di non parlare per sentito dire, ma di esprimere in maniera semplice e diretta il mio pensiero, la mia esperienza, le cose che so.

Che poi davanti all’inevitabile accozzaglia di banalità che il candidato si trova a scrivere messo con le spalle al muro, mi chiedo quante lattine di red bull deva bere chi poi i temi li deve correggere, e se per valutarli adotti la scala Richter o quella Mercalli.

E ora alzi la mano chi trova una cosa sensata da dire su uno dei temi proposti, a piacere, quest’anno o nei precedenti.

Tanto è lo stesso.

Professione deejay

“Mamma…. Tu la conosci Raperonzola?” mi chiede Sofia mentre passeggiamo in bicicletta.
“Certo…. È Rapunzel!” rispondo io, con l’aria di quella che la sa lunga (‘Raperonzola al balcone, cala cala il tuo treccione’ mi sorprendo a ripetere).

“Ma no mamma… si somigliano ma non sono la stessa cosa…!”
“Ma come no? Guarda che quando io ero piccola non esisteva l’iPad…”
“No???? E perché?” mi interrompe esterrefatta.
(la risposta esatta è ‘perché sono vecchia’, ma tergiverso)
“E perché no! …. Ma esistevano le fiabe sonore” concludo la frase iniziata.

“E cosa sono?”
“Le fiabe sonore erano una collana di libretti che a corredo avevano il disco, un 45 giri; tu lo infilavi nel mangiadischi e seguivi la storia narrata e le illustrazioni sul libro.”
“Mamma… Che cosa è un mangiadischi???”
(oddio, non ho più vie d’uscita, nemmeno con me stessa… sono vecchia!)
“È lo strumento che serve a riprodurre i dischi: io ne avevo uno arancione; lo mettevo a tracolla, infilavo dentro il disco, lo ascoltavo fino a metà e poi dovevo farlo uscire schiacciando un pulsante bianco per poterlo girare sul lato B.”

Inizio a canticchiare “A mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar… daaaa narraaaar…” ma quando arrivo al cappottino rosso e la cartella bella le ottave salgono e sembro un’oca che starnazza.
Nel frattempo siamo arrivate al parco giochi e a Sofia delle mie fiabe sonore non importa più un bel nulla.

Mentre lei e Viola salgono e scendono dallo scivolo, io ripenso a quelle fiabe che ascoltavo e riascoltavo.
La mia preferita era ‘I tre porcellini’; invece ‘La bella addormentata’ mi faceva paura, ero terrorizzata dall’arcolaio, anche se non capivo bene cosa fosse.
Poi c’era quella di ‘Biancarosa e Rosella’ di cui non ho mai conosciuto il finale perché il disco era rovinato, aveva una crosta pasticciata che copriva alcune tracce.
Ne avevo ereditato una collezione nutrita da qualche bambino più grande che se ne era sbarazzato, e a caval donato non si guarda in bocca.
Mi piaceva un sacco l’alternarsi della narrazione del cantastorie con le voci dei dialoghi dei personaggi, e tutti i suoni di sottofondo che altrimenti, sulla carta, sarebbero rimasti delle scritte onomatopeiche: il vento che fischiava, le porte che sbattevano, i sospiri… tutto a rendere le storie molto più realistiche.
Quando la fiaba volgeva al termine interveniva di nuovo il cantastorie a rassicurare che, sebbene la storia fosse finita, era possibile ripartire.

La sigla finale cantava 

‘finisce così, questa favola breve se ne va / il disco fa clic e vedrete tra un po si fermerà’ 

e il cantastorie parlava (precursore dei rapper) sopra la melodia ‘ma aspettate e un’altra ne avrete’, ed io ero già pronta a rigirare il disco sul lato A e riascoltarla da capo.

Ora queste fiabe sono disponibili su YouTube ma hanno tutto un altro sapore.

Dopo il giro al parco e dopo aver fatto sosta alla gelateria siamo ritornate a casa.
Nel coricare le mie bimbe mi sono adagiata al fianco di Viola; era irrequieta, così le ho chiesto se voleva che le cantassi una canzoncina.
“Si” mi ha risposto quasi in tono di ringraziamento.
Allora ho intonato ‘Il cosacco Popov’ che come ninna nanna funziona sempre.
Ad ogni strofa mi fermavo, pensando si fosse addormentata, e lei mi richiamava:

“Anco(r)a!”
“Ancora cosa Viola?”
“Cansone!”
“Ok… Col colbacco e gli stivali… camminando tutti in fila…”
Dopo il terzo stop anziché chiedere ‘ancoa’ ha iniziato a battermi sulla testa con la manina… proprio come si faceva con il juke box!
Questa è una serata in cui i ricordi come il mais dentro la pentola esplodono e diventano pop corn: il juke box!!!

 Le serate in pizzeria con i miei genitori…
“Mi dai 500 £ mamma?”
E poi correvo davanti a quell’enorme contenitore, sul cui fronte erano etichettati i dischi disponibili.
Trascorrevo il tempo a selezionare come investire quelle 500 £, a individuare la canzone che avevo più voglia di sentire.
Poi infilavo la moneta, digitavo il codice corrispondente alla preferita, facendo estrema attenzione a non sbagliare, pena l’ascolto di un motivo sconosciuto.
Una volta inserita la moneta, osservavo il movimento del braccio che prelevava il 45 giri e lo appoggiava per farlo leggere dalla puntina.
A volte il disco si incantava, ripetendo all’infinito la lettura della medesima traccia, senza riuscire a passare alla successiva.

Per risolvere l’inconveniente si assestavano delle sonore pacche al marchingegno; ecco: le manate di Viola erano un po’ meno energiche. 

Sono stata nominata

Ho ricevuto la nomination per i Liebster Awards e ne vado orgogliosa: sono approdata da poco al mondo di WordPress e ho tanta fame di approfondirlo.

Pertanto ci sto! In campagna elettorale trovi tanta di quella cartaccia inutile nella buca delle lettere… Io non chiedo voti, anzi non chiedo un bel niente: propongo la mia lettura, ovvero la lettura di me.

Potrei anche aver scritto i Promessi Sposi ma se poi restano in un cassetto valgono come un blocco di scarabocchi.

Accetto quindi di buon grado la mia nomination e ringrazio ilmondodelleparole.wordpress.com per avermi offerto questa grande opportunità.

Queste le regole del gioco:

  • ringrazia chi ti ha premiato
  • scrivi qualcosa sul blog che preferisci
  • rispondi alle 11 domande del blogger che ti ha nominato
  • scrivi, a piacere, 11 cose su di te
  • nomina a tua volta altri 11 blogger con meno di 200 followers
  • formula 11 domande per i blog nominati
  • informa i blogger della nomination

Sono approdata a WordPress seguendo la scia di tiasmo.wordpress.com ma poi ne ho scoperti molti altri. Non ho un blog preferito, ognuno mi piace per alcuni versi, altrimenti non li seguirei.

Ecco le mie risposte alle domande che ho ricevuto:

  1. Se dico “giallo” pensi a? Penso ai Minions! Intendiamoci… Non ho apprezzato nessuno dei loro film, ho faticato a tenere gli occhi aperti (con scarso successo)… Ma trovo il loro disegno geniale
  2. Se dico “blu” pensi a? Senza il minimo dubbio ad una piscina: una bella vasca olimpionica divisa in corsie, senza nessuno dentro, da cui traspaiono chiaramente i segni delle linee nere sul fondo; questa vasca aspetta solo me e il mio tuffo. Meglio se sulla superficie qua e là brilla il riverbero del sole estivo.
  3. Se dico “verde” pensi a? Al parco Sigurtà, una distesa enorme di prati costellati di aiuole fiorite, che a me ha trasmesso infinita serenità.
  4. Un ricordo dell’infanzia a cui sei molto affezionato/a? Ogni tanto i ricordi dell’infanzia affiorano nella mia mente così come spuntano i funghi nel bosco dopo una pioggia a settembre… Lì per lì non saprei a quale dirmi più affezionata.
  5. Braccialetti o collane? Entrambi… Parure! Anche se dovendo scegliere direi collane: si notano di più, e completano l’abbigliamento.
  6. Una persona che vorresti facesse parte del tuo albero genealogico? Posso cambiare la domanda e piuttosto eliminarne alcune dal medesimo albero?
  7. Un’epoca in cui avresti voluto vivere? Direi nel futuro
  8. Paesi freddi o paesi caldi? Per sollazzarmi quelli caldi ma ritengo che la qualità della vita sia migliore in quelli freddi; nell’indecisione mi va bene l’Italia.
  9. Il viaggio dei tuoi sogni? Miami https://elenarigon.wordpress.com/2016/05/21/il-giorno-piu-lungo/
  10. Il film davanti al quale hai pianto di più? Cerco di non piangere quando guardo un film, mi ripeto ‘È tutto pomodoro! È tutto pomodoro’ (La verità è che mi sento stupida a farlo, a volte invece farebbe bene)
  11. Il libro davanti al quale hai pianto di più? Credo sia ‘Venuto al mondo’ di Margaret Mazzantini (però faccio outing, anche ‘Il giorno in più’ di Fabio Volo mi ha suggestionato… Vedo già le vostre facce però ho l’attenuante: l’ho letto mentre attraversavo un periodo buio)

Dove siamo arrivati? Ah ok, le cose su di me… Beh non credo di poter essere esaustiva, non mi verranno in mente le più salienti ! Sono 11 cose a caso

  1. Sono sempre l’ultima a sapere le cose: vivo in un mondo mio e scopro tardi ció che altri sanno da millenni, tipo quella di oggi che Albertino e Linus sono fratelli. 
  2. Ho 43 anni e non ho ancora capito se sono pochi o tanti;  nel dubbio opto per la prima.
  3. Ho due hobbies: il nuoto che pratico da diversi decenni; e la scrittura, che è emersa solo di recente ma campeggia nel mio pensiero e in qualche bozza sparsa dagli stessi decenni del nuoto.
  4. Amo la pizza, il gelato, l’insalata mista con l’aceto balsamico invecchiato e l’acqua gasatissima. Se è pasta son fusilli, se è caffè è senza zucchero.
  5. Odio l’ipocrisia, l’incoerenza, la falsità, la menzogna ma soprattutto odio le banalità.
  6. Cerco di accettarmi per quello che sono e di fare altrettanto con il mio prossimo.
  7. Leggo quel poco che il tempo libero mi consente, viaggio nella stessa misura, al cinema vado anche molto meno. Ma non perché non mi piacciano queste attività.
  8. Ascolto musica sempre, in ogni momento o quasi; e conosco a memoria tantissime canzoni, alle quali sto però ancora cercando di trovare un senso.
  9. Delle persone apprezzo molto la sensibilità e l’arguzia.
  10. Adoro cavillare sul significato delle parole, filosofeggiare sul nulla, dissertare del sesso degli angeli.
  11. Mi annoio a morte davanti agli argomenti impegnativi (oltre che ai Minions).

Infine (grazie per la pazienza a coloro che sono arrivati fin qua) ecco le mie domande:

  1. Cita un proverbio o una massima che ritieni la tua stella polare.
  2. Se dovessi scegliere un personaggio famoso (cantante, politico, attore, giornalista, comico… Quello che vuoi) chi sceglieresti?
  3. Qual è lo spot televisivo che ritieni più originale?
  4. Cosa trovi di bello nel mare o nella montagna (a scelta)?
  5. Di quale libro hai abbandonato la lettura?
  6. Cosa ti piaceva di più / di meno (a scelta) della scuola?
  7. Ottimista o pessimista?
  8. Social network: manna o condanna?
  9. Qual è la forza che fa girare il mondo?
  10. Qual è la cosa più difficile nel mantenere un segreto?
  11. Come faccio a taggare gli altri blogger?

Io lo faccio a mio modo, ma ne deve esistere uno di più rapido…

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