Lo scorso inverno, durante una giornata sugli sci, ho ascoltato due snowboardisti che parlavano. Lei apprezzava la tuta di lui, ‘così camouflage’ aggiungendo che si dice camouflage ‘perché dire mimetico fa cagare il cazzo’.
Io non avevo mai sentito usare quel termine, camouflage intendo, l’altra espressione mi è ben nota, e così ho imparato che è sinonimo di mimetico.
Ecco: la strada che da Sciacca porta a Catania è tutta così: una lingua di asfalto che scorre in mezzo a un paesaggio camouflage.
Non è il deserto, tranne per il fatto che non ci sono costruzioni: è tutto a perdita d’occhio così, marrone – beige – ocra – verde, come un’enorme coperta militare gettata scomposta sul pavimento.
Raggiungiamo Catania nel giorno della festa di Sant’Agata, versione estiva. La ricorrenza cade il 5 febbraio ma poi anche al 17 agosto, compleanno di Viola, viene ripetuta la processione.
Catania mi ricorda Barcellona, il viale principale sembra una versione aumentata della Rambla.
Ovviamente c’è molta gente, ma non c’è quel must di eleganza che c’era due giorni prima a Sciacca.
Moltissime persone indossano un camice bianco sul quale è appuntata una piccola coccarda a base nera, sovrastata di stoffa rossa, gialla e verde.
Attorno alla vita è legata una cintura di corda alla quale sono appesi un paio di guanti bianchi.
È un costume tipico, indossato in memoria di quella volta che gli abitanti del luogo erano stati sorpresi nella notte dall’eruzione dell’Etna, e l’avevano placato portando davanti al vulcano il velo di Sant’Agata; per non rovinarlo avevano indossato dei guanti bianchi.
È strano osservare che sotto questi abiti ci siano persone ‘normali’: si intravvedono i piercing, i tatuaggi, tengono in mano la sigaretta; stride un po’, ma in realtà anche le persone dell’epoca erano altrettanto normali, immagino.
Percorriamo tutto il viale principale fino a raggiungere il duomo: entriamo durante la messa per ammirare la Santa; la chiesa è gremita e il caldo, l’umidità, sono soffocanti.
Ci piazziamo davanti alla chiesa ad attendere la processione: la folla è tanta, qualcuno si sente male e viene portato via in barella.
Improvvisamente una serie di scoppi ci spaventa: sembra una sparatoria, Sofia e Viola scoppiano a piangere.
Si tratta invece dell’anticipo dello spettacolo pirotecnico: meraviglioso! Con il duomo illuminato dalla luna piena che fà da sfondo, si susseguono uno dopo l’altro gli artifici colorati nel cielo.
È impegnativo rimanere lì: la folla, il caldo, la fame, l’orario.
Ma è bellissimo.
Poi la processione: la Santa, preceduta da un’enorme candela, sfila portata a spalla. Dalle finestre cadono coriandoli: sono biglietti su cui è scritto ‘W S.Agata’.
Ogni tanto la statua si sofferma perché la folla possa ammirare lo sfarzo delle pietre preziose con cui è adornato il mezzobusto, e riverirla.
Al termine, passata la Santa (e quindi il miracolo), ripercorriamo il vialone a ritroso e le bambine sembrano esauste. Salvo riprendersi non appena scoprono che sul lungomare, dove ci fermiamo per un panino, ci sono le giostre.
Sofia inizia a ripetere le strofe della canzone ‘Andiamo a comandare’ che, per la prima volta da quando è nata, è una canzone che ha scoperto lei prima di me. Poi decide di salire su una giostra che a me spaventa solo a guardarla da sotto. Penso che non abbia ben ponderato la sua scelta, e quando mi appresto a consolarla alla discesa, attendendola impaurita, mi chiede ‘posso fare un altro giro mamma?’
Prima di affrontare il rientro beviamo il caffè: io opto per la versione granita, veramente gradevole.
Il rientro a notte fonda è lungo, ma ripassiamo sotto la valle dei templi e scorgiamo l’acropoli illuminata a giorno: vista dal basso è spettacolare.
(To be continued)