La graduatoria 

GiuliaSole ha proposto nel suo blog questo quesito, basato su una storiella fantasiosa quanto paradossale.
Ve lo ripropongo, mi piacerebbe conoscere le vostre opinioni:

Una giovane coppia abita in una città divisa a metà da un fiume. La donna, sentendosi trascurata dal marito, che è spesso via per lavoro, si infatua di un uomo che abita dall’altra parte. Per raggiungerlo la donna deve attraversare un ponte, unico collegamento tra le due sponde, e così fa.

Passa la notte dall’amante e, il mattino dopo, si alza presto per tornare a casa prima del marito, impegnato in uno dei suoi viaggi di lavoro. Ma, quando raggiunge il ponte, scopre che la strada è bloccata da un pazzoassassino, che minaccia di ucciderla se provasse ad avvicinarsi.


La donna è disperata, non sa come tornare a casa, quando nota un barcaiolo sulla riva del fiume. Corre da lui, gli spiega l’accaduto e lo implora perché la scorti con la sua barca dall’altro lato. L’uomo accetta, ma le chiede un compenso; la donna, però, è priva di denaro.

Allora, decide di tornare dall’amante e chiedere a lui i soldi per pagare il barcaiolo. 
Ma il giovane rifiuta sprezzante: 
“Siete tutte uguali voi donne. Giurate amore e poi volete solo i nostri soldi. Non mi fregherai, sgualdrina che non sei altro.”


La donna è in preda al panico, il sole è ormai alto nel cielo e deve sbrigarsi a trovare una soluzione. Si ricorda di un suo vecchio amico che abita proprio in quella parte della città, e decide di recarsi da lui a chiedere aiuto. Gli racconta la vicenda e lo prega affinché le dia in prestito qualche moneta. Ma l’amico non sente ragioni: 


“Hai proprio una bella faccia tosta. Vuoi il mio aiuto perché tuo marito non scopra il tuo tradimento? Sei solo una sgualdrina e avrai quel che ti meriti.”


Ormai, la donna ha perso le speranze; l’unica cosa che può fare è provare a battere il pazzo in velocità. Si lancia di corsa sul ponte, ma quando sta per superare l’assassino viene fatta a pezzi.

Il gioco consiste nel formulare una scala di responsabilità, in ordine decrescente, dei personaggi della storia.
È implicito che l’unico vero colpevole è l’assassino, ma è inconfutabile che gli altri (donna / marito / amante / amico / barcaiolo, in ordine di apparizione) hanno una parte di responsabilità.
Il test chiede di esporre, a proprio giudizio, una graduatoria.
Non esiste un giusto o uno sbagliato, non c’è LA soluzione corretta, non si vince nulla.
Aggiungo che, avendo già letto altre risposte, non si chiede di esprimersi sul merito della vicenda infedeltà, così come non si chiede di fare un processo all’assassino.
Gli elementi della storiella sono inseriti solo per creare dei vincoli rigidi, dei perni attorno cui incardinare i personaggi.
(In foto il ponte degli alpini, Bassano del Grappa. Non ha nulla a che vedere con la storiella e il test ma è una foto che a me piace molto, e poi l’ho scattata io).

La scuola guida *

Stamattina in autostrada viaggiavo in terza corsia e sulla mia destra si superavano due camion. I camion che si spostano lateralmente mi fanno sempre un certo che (per non dire che mi si stroppa un pochetto), e per associazione di idee con la festa del papà di ieri mi è venuto in mente quando mi insegnava a guidare.

Per un attimo me lo sono rivista seduto sul sedile del passeggero, abbarbicato alla maniglia sopra la portiera con entrambe le mani, la sigaretta in bocca gestita con la terza mano, che tratteneva tutti gli improperi che gli venivano spontanei mentre io facevo sussultare avanti l’auto nel tentativo di coordinare frizione acceleratore e ingranare la prima.

Patavinitas

Chi ha detto che gli esami non finiscono mai non aveva fatto i conti con le gare. Per quanto mi riguarda gli esami sono finiti da un pezzo, quelli scolastici ovviamente
Invece le gare, quelle continuano.

E siccome sono una sognatrice (nel senso che vorrei fare meglio ogni volta ‘alla prossima’) mi illudo e mi iscrivo (o mi iscrivo e mi illudo).
Ieri il gran prix Veneto faceva tappa a Padova, e il programma offriva la possibilità di ripetere ben due delle performances a cui miro di più.

Peccato che la scaletta le avesse previste una al mattino e una al pomeriggio, ma tanto sono comoda a casa, che sarà mai.
Primo viaggio di andata, ammiro il laghetto in cui la casa non si specchia (c’era foschia), ammiro l’alternarsi della fioritura bianca e rosa, tutta puntiforme, che crea un effetto impalpabile, come quelli dei quadri degli impressionisti.
La radio passa Despacito, che è già un tormentone estivo anche se deve ancora arrivare primavera.

In poco tempo raggiungo l’impianto.

All’ingresso trovo un ragazzo che si interroga sul divieto di entrare coi cani: cioè generalmente lo si vieta ai cani, quindi il cane da solo può entrare? Si chiede.

Gli spogliatoi sono angusti e c’è molta gente. Per entrare in vasca supero il solito drappello che si aggrega davanti a startlist e risultati e rimane col naso all’insù a consultarli.

Ho calcolato giusti i tempi e sono subito in pre-chiamata, dove incontro conoscenze vecchie e nuove.

Che strano, quando ho iniziato, da M30, mi chiedevo se tutte quelle vecchie non avessero proprio niente di meglio da fare la domenica, avranno pure una famiglia no? Ora invece le considerazioni su quelle un po’ più vecchie di me sono del tipo ‘Guarda un po’ che fisico, M55 e sembra una ragazzina, è così che vorrei essere anche io’.
Gareggiare vicino a casa ti concede il privilegio dell’ubiquita, così posso godermi la parte centrale della giornata festeggiando il papà (delle mie bimbe).
Secondo viaggio di andata: ancora i fiori dall’autostrada, ancora Despacito, praticamente come diceva il Liga ‘da casello a casello’.
Molta la stanchezza accumulata in mattinata e cerco di convincermi che comunque vale la pena di tentare di migliorare il 50 stile, anche se il 100 misto della mattina è stato un flop.
Esco di nuovo a Padova Ovest, ma ho sempre bisogno del navigatore.

Eppure buona parte della mia vita è legata a Padova: le prime gite in treno la domenica con le amiche; gli anni dell’università, i corsi, le lezioni, le aule, le mense; i ricoveri periodici di mia nonna; il luminare che avrebbe potuto (?) salvare mio papà; numerosi colloqui dopo che ero rimasta senza lavoro in seguito alla nascita di Sofia; il nuovo lavoro e quello successivo.

A Padova c’erano i centri commerciali quando ancora a Vicenza non esistevano; adesso comunque ci sono Ikea, Grom e la Feltrineli, tutte attività commerciali che a Vicenza mancano.

Insomma dovrei conoscerla come le mie tasche, invece ne conosco il perimetro, per quei segmenti che mi hanno riguardato. I padovani riconoscono subito che non sono una di loro, basta che mi sentano pronunciare vèrde con la E aperta e subito sghignazzano.

Persa in questi pensieri smarrisco la strada per la piscina ma presto la ritrovo.

Giusta un in tempo per ripetere il rituale riscaldamento-vestizione-prechiamata-gara.

La vestizione da bagnati di un costume bagnato richiede tanta tanta pazienza, come con i bambini: una piega alla volta, un centimetro dopo l’altro, una spruzzata di borotalco e va su.

Purtroppo anche il 50 stile non va come speravo.

Rientro senza aver centrato l’obiettivo. Alla prossima.

Il vocabolario di Viola *

(Tengo a sottolineare che si tratta di un post scritto più di un anno fa, quando Viola aveva un anno e mezzo)

A

Acqua: uno dei bisogni primari, meglio imparare subito a scandire bene la parola, senza storpiarla in acca o quaqua, in modo da esprimere la sete in maniera inequivocabile (capitata in casa di genitori con poca fantasia)

Ap(r)i: imperativo del verbo ap(r)ire, usato perlopiu nel senso di ‘scarta!’ (cioccolatino, merendina) ma anche per qualunque porta / cancello che la separa dal resto del mondo

B

Bibbe: altro bisogno primario 

Be: risposta sintetica alla domanda ‘come stai Viola?’

Becca: diminutivo del nome dell’amica di Peppa, Rebecca coniglio

C

Cocco(l)e: appartenente alla solita collezione ‘bisogni primari’

Cacca: modo generico per avvisare che è ora di cambiare il pannolino 

Cuca: la testina, parte del corpo da proteggere nelle cadute

D

Dotti: richiesta di guardare il cartone della dottoressa peluche

Dudo: (caduto)  ‘oibó! Anche questo è soggetto all’attrazione gravitazionale? Tutto difettoso in questa casa?’

Doccia: richiamo all’attività che fornisce pretesto per sguazzare una mezzoretta sotto l’acqua; basta la parola e punta decisa le scale

E

Èmmio: aggettivo riferito a tutto quanto passa per le sue mani, ma in maniera particolare al pae

Ecco: interiezione universale al termine di qualsiasi attività

Èbboa: apprezzamento (èbbuona)

G

Grazie: detto esattamente così; non ace, non gaze. Se fosse merito mio me ne vanterei, ma ha fatto tutto da sola

I

Ioja: il suo nome pronunciato senza iniziale, affermato in terza persona di fronte a ogni ‘chi è stato a fare questo disastro?’

M

Mamma: detto una prima volta per caso, ma visto il successo riscosso, usato per richiamare l’attenzione di un adulto a caso (mamma o papà indifferentemente)

Me(l)a: appartenente alla sfera culinaria quindi vocabolo che male non fa

Macia: personaggio petulante dei cartoni animati, vestita di rosa con foulard

N

Nono / nona / noni: addetti all’animazione pomeridiana

O

Oso: l’amico di Macia

P

Pappa: tutto ciò che di commestibile transita per il suo raggio di azione

Papà: colui a cui appiccicarsi a mo’ di cozza, qualora disponibile

Piza: tutto ciò che è commestibile e ha forma rotonda

Peppa: personaggio dei cartoni che ha svangato i marones

Pipa: il ciuccio, che però va usato sempre al plurale, uno in bocca e uno o più in mano

: termine di qualunque attività o pietanza 

Pae: nella locuzione I PAE ÈMMIO indica l’ipad

T

To(r)ta: altra pietanza gradita; la parola non sta mai da sola ma generalmente viene acclamata a ripetizione to-ta to-ta to-ta fino a che questa non arriva a portata di bocca 

Te: liquido marrone che bevono i grandi la mattina nel quale è divertentissimo inzuppare biscotti o fette biscottate

Peccati capitali – TAG

Inizialmente partecipavo con entusiasmo ai TAG, poi ho avuto l’impressione che fosse fatica sprecata, perché non interessano a nessuno.

Questo però mi sembra stimolante, e ho ricevuto ben due nomination a riguardo (Kikkakonekka e Caduta fuori dal tempo), si vede che come peccatrice ho successo.

Siamo in periodo di quaresima quindi una bella confessione non è fuori luogo, anzi, potrebbe rientrare nei trend-topic.

Le regole del TAG sono le solite:

– Inserire il logo del TAG e citare il blog che lo ha creato (Il mondo di Shioren)

– Rispondere alle 7 domande relative ai 7 Peccati Capitali

– Taggare 15 blogger

Ecco le domande e le mie risposte.

Peccato #1 SUPERBIA Vi siete mai sentiti superiori a qualcuno ed in quale occasione?

Generalmente assegno a tutte le persone che incontro le mie stesse facoltà, o anche doti superiori; purtroppo però mi ritrovo spesso a dovermi ricredere, e da lì in poi… saluti!

Peccato #2 AVARIZIA Siete mai stati attaccati o lo siete ancora al denaro o beni materiali?

No, o meglio, chi non lo è? Il denaro non dà felicità, ma la miseria fa ancora più fatica.

Peccato #3 LUSSURIA Siete mai stati attratti dal sesso al punto tale da dimenticare tutto?

E chi se lo ricorda? Ah ah ah

Peccato #4 INVIDIA Siete mai stati invidiosi di qualcuno?
Sì, eccome: invidio profondamente chi ha più tempo libero di me. Solo che se io avessi del tempo libero… lo occuperei. Quindi sarei al punto di partenza.

Peccato #5 GOLA Siete dei “peccatori” di gola?
Cioè se mangio? Si tanto! E mi piacciono terribilmente tanto i dolci, soprattutto i gelati.

Peccato #6 IRA Siete mai stati ossessionati dal desiderio di vendetta per un torto subito?

Può anche darsi che abbia covato rancore ma poi la vendetta non si è mai consumata, quindi il desiderio non si può dire ossessivo, visto che l’ho completamente rimosso.

Peccato #7 ACCIDIA Il male interiore, indifferenza e negligenza verso la vita e verso se stessi, quanti di voi si sono ritrovati a vivere una situazione del genere?

No, anzi… un po’ di accidia non guasterebbe.

Ora le mie nomination: 15 è un numero folle. Anzi, fare le nomination è folle (mi perdonino gli inventori del giochino).

Mi limito ad esprimere tre indicazioni, di blog che vale la pena, se non li conoscete, di visitare almeno una volta.

Dubito che questi blogger vogliano cogliere la proposta del tag, ma se fosse ben venga!

Più facilmente mi odieranno un po’ ma pazienza.

Moiselle-mad

Gintoki

Le coccinelle volano

Pensieri in Bunchems

Sto scoprendo un mondo di gente che scrive per diletto, e quando leggo mi faccio prendere dall’ansia: guarda che bei pensieri nobili hanno gli altri! Guarda che fantasia per inventare e raccontare belle storie!

Dopo una fase di impasse ho realizzato però che non devo ispirarmi agli altri per scrivere, che non vale la pena di imitare qualcun altro: c’è già la sua produzione! io devo continuare con la mia.

Dentro la mia testa ci son più bestie che nella foresta. Ma non le bestie cattive e feroci, no. Sono animali inesistenti, un po’ prosa e un po’ poesia.

Nella mia testa ci sono un mucchio di creazioni tipo i Bunchems, quei pezzettini colorati che messi insieme formano una macchina, o un cane, o una casa. Dallo spot che trasmettono in TV sembra che tu li lanci in aria e magicamente si compone una forma. In mano mia invece, pur con certosina precisione, fanno un ammasso informe di pezzi di plastica spinosi. Ma variopinto eh.

Così un po’ il mio blog: pensieri sparsi di vario genere, alcuni dei quali non arrivano nemmeno a trarre conclusioni più o meno sensate. 

I Bunchems nella mia testa a metterli insieme fanno un ambaradan senza capo né coda… Ma variopinto eh!


Dopo anni di uso delle tabs, le tavolette compatte per la lavastoviglie, siamo tornati alla versione sciolta. Una volta era la polvere, ora invece ci sono i detersivi liquidi; e ogni volta che metto il Pril nella lavastoviglie penso che chi lo ha inventato deve essersi ispirato allo Sheridan, il liquore panna e caffè bicolore che mi capitava di bere ogni tanto, nei dopocena dei miei 20 anni.

I Bunchems sono spinosi, sfruttano l’incastro dei pungiglioni per rimanere coesi. I miei pensieri stanno insieme con un filo conduttore invisibile, infatti la forma del risultato finale è indecifrabile.


Domenica ho portato Viola in doccia con me, per lavarla, controvoglia (sua). Si è fatta pregare un po’ poi l’ho presa di peso e me la sono portata sotto lo scroscio; prima di entrare in doccia ho fatto partire una playlist di Ed Sheeran sul tubo; Viola recalcitrante, ad un certo punto si è accoccolata sulla mia spalla e ha accettato di essere lavata. Io me ne stavo sotto l’acqua tiepida, con Viola in modalità koala, ascoltando Ed Sheeran. Mentre l’acqua ci scorreva addosso consideravo che questo trinomio, Viola-Acqua-Ed Sheeran, assomiglia parecchio ad un momento
di tranquilla felicità, anche se nessuno formulerebbe la propria definizione di felicità in questi termini.

Salvo poi scoprire che non mi ero collegata al wi-fi così, oltre ad un buon consumo di acqua, mi sono giocata anche parecchio traffico dai giga a mia disposizione. Pazienza.

Le statistiche del mio blog ogni tanto ricevono un’impennata da blogger di cucina stranieri. Ho come il sospetto che non leggano nemmeno i post ma si aspettino una follower in più; ma io con le ricette non ci azzecco molto, è come coi Bunchems, mi escono dei pasticci poco presentabili. Ma buoni eh!!!


I cacciatori di Pokemon che fine hanno fatto? hanno trovato tutti i mostriciattoli che non se ne parla più? La scorsa estate sembrava il male del secolo che i più giovani andassero a caccia di animaletti virtuali!

Un po’ per deformazione professionale mi piacerebbe che ciò che scrivo avesse un senso compiuto; sono un programmatore e per eseguire un codice lo compilo: se tutto non è predisposto nel modo giusto il programma non funziona per niente.

Il cielo al tramonto in questo periodo dell’anno è una spettacolare commistione di azzurro e rosa. È esattamente come lo aveva disegnato la mia mamma in quel disegno che ho scelto di conservare. Aveva frequentato un corso di disegno segretamente; per un certo periodo, che non so collocare nel tempo, era fuori tutti i mercoledì sera; poi alla fine aveva svelato l’arcano, presentandomi un album con i suoi elaborati. Mi aveva detto di sceglierne uno e si era stupita che avessi preferito quello più semplice in termini di grafica, in cui i colori pastello erano l’elemento predominante.

Adesso, a pochi giorni dal mio compleanno, penso che involontariamente è stato un modo per continuare a farmi percepire la sua vicinanza, ora che non è più con me.

Nessuno ha a cuore la ricorrenza di un compleanno come la madre per i propri figli: infondo la ricorrenza vera la festeggia lei. E infatti fino all’ultimo compleanno in cui l’ho avuta vicina mi ha reso il giorno speciale.

Vorrei che fosse così come nei listati dei software, anche nelle mie pagine; invece, e forse è il bello, è la creatività: non ci sono regole rigorose da rispettare, tranne quelle grammaticali. Posso raccontare ciò che voglio.

Ho sentito alla radio una canzone di Tozzi cantata in duetto con Tina Turner; invece era Anastasia. La conduttrice radiofonica si chiedeva se le avranno spiegato la traduzione del testo, e come avranno fatto a farle capire cos’è un guerriero di carta igienica.

Ma dico, son domande? Io me lo sono sempre immaginata come l’omino Michelin, solo con i rotoli al posto degli pneumatici!

Ogni tanto mi capita di incontrare qualcuno che mi dice ‘sai … seguo un po’ il tuo blog… ma mi sono preso indietro, devo rimettermi in pari con la lettura’. Forse ha paura che lo interroghi.

Lo rincuoro: il mio blog è come Sentieri, puoi perdere anche tre generazioni di puntate che poi ne vedi una e ricostruisci tutti gli accadimenti.

Il mio blog non è come quei corsi di aerobica che se perdi una lezione sei spacciato, condannato a saltellare a destra quando tutti vanno a sinistra perché quando è stato introdotto il mezzo avvitamento avevi il raffreddore.

Viola non distingue tra pipì e cacca: chiama indistintamente l’una o l’altra ma si riferisce sempre al fatto di dover urinare. Per il resto ancora non ci siamo, ma quando si produce nella seconda ti avvisa orgogliosa, accompagnando con un ampio gesto rotondo delle braccia, che ha fatto un ‘petolotto’; ma graaandeee eh!

La condanna di Eva

“Tu donna partorirai con dolore” la minaccia ricevuta da Eva.

Eva l’aveva anche presa bene, perché non le era stata anticipata la condanna peggiore: “Tu donna porterai la borsa”.
Il che implica

  • che ogni cosa che appesantisce le mani dei tuoi compagni di viaggio finirà là dentro; e quello che non ci sta in mano…
  • che dovrai ricordarti di portare via da casa ogni genere di conforto, pena la delusione negli occhi del tuo interlocutore alla domanda ‘ma non hai preso su …?’ (Al posto dei puntini sostituire a piacere con acqua / merendine / cracker / biscotti / cappellini / guanti / cerotti di ogni forma e dimensione / salviette rinfrescanti / liquido lavamani / salviette disinfettanti)… e potrei continuare per pagine;
  • che ad intervalli regolari di 5 minuti al massimo dovrai cercare in detta borsa tutto ciò che torna utile ai suddetti compagni di viaggio;
  • che prima di cercare e dopo aver trovato (!) qualcosa dovrai aprire e chiudere la borsa perché non è opportuno girare con la borsa aperta;
  • che dette operazioni vanno compiute generalmente in movimento in maniera acrobatica (e con le mani impegnate dalle eccedenze di cui al primo punto dell’elenco).

E che quando per un attimo ti sollevi della borsa “me la reggi un istante per favore?” ti sentirai rivolgere la domanda: “Maaaa… Quanto pesa ‘sta borsa???”

“Tu donna partorirai con dolore” era solo così per dire!

Parole di Vicenza (e dintorni): ‘ser drio

Nuovo appuntamento con le espressioni caratteristiche della mia città.

La rubrica in cui illustro i modi di dire dialettali sta riscuotendo un discreto successo tanto che ricevo suggerimenti per la parola dell’appuntamento a venire.

Vabbè, ricevo suggerimenti e basta, il discreto successo non c’è, ma non importa.

L’espressione scelta per il post di questa settimana è ‘esser drio’, tradotto letteralmente essere dietro.

Esser drio, ma più concisamente ‘ser drio,  non significa posizionarsi dietro; esser drio è stare impegnandosi in un’azione, ed è un modo di aggirare il gerundio.

“Son drio magnare” significa sto mangiando; “xè drio rivare” vuol dire sta arrivando.

Rispetto alla locuzione “sta ‘rivando”, esser drio rivare rafforza il concetto di moto a luogo.

Tanto che esser drio ‘ndar vanti (essere dietro ad andare avanti), traducibile con uno stringato procedere, è un meraviglioso ossimoro per dire che si stanno profondendo energie nel completare un progetto.

Marzo *

Marzo è il mese della rinascita, e non lo dico per interesse personale: io che a marzo ci sono nata, ogni anno rinasco un po’, ma è un fenomeno generale.
In marzo torna l’ora legale, quella illegale si fa da parte per i prossimi 6 mesi.
In marzo torna la primavera, anche se ci sono 12• è pur sempre primavera.
Marzo è il mese della mimosa, fiore opulento e profumatissimo, petaloso nemmeno un pochino.
Qualche volta a Marzo ci cade Pasqua, ma solo qualche volta.
Marzo è anche il mese della nascita dell’Unità di Italia, ma hanno lasciato la festività solo per un anno.
Marzo è il mese in cui mi scade la revisione dell’auto, ma non sono mai capace di ricordarlo da un anno al successivo.
A marzo cade la festa del papà, salvezza dei produttori di cravatte.
E infine ho scoperto che a Marzo, proprio nella giornata di oggi, cade la ‘Festa del P greco’
Auguri a tutti i P greco!

Qual è l’età giusta?

Semel in anno riusciamo ad organizzare una giornata di sci, e ieri finalmente siamo andati in montagna.

Non sono un amante della montagna a 360•, per me la salita è un concetto difficile da assimilare, quindi niente camminate estive.

Mi piace la discesa, e mi piacciono i colori della montagna, spettacolo ormai noto, ma che infonde sempre una certa meraviglia: i cieli azzurri e tersi, segnati da nuvole color latte e qualche scia degli aerei.

E poi il verde brillante dei pini, la distesa di neve bianca, gli sciatori che si muovono così agilmente mentre scivolano e la gravità se li risucchia in giù, ma in piano sono tutti impacciati nei movimenti dalle attrezzature e dagli appoggi che si estendono ben oltre i piedi, ma che non si vedono.

E il profumo dell’aria, fresco, pulito, freddo.

Oltre al paesaggio e all’attività sciistica mi piace il momento della risalita: capita spesso di incontrare altre persone, scambiare qualche parola o solo ascoltare altri discorsi, simpatizzare.

Ieri la prima risalita l’abbiamo condivisa con una compagnia di ragazze giovani e con un uomo col figlio al seguito.

Le ragazze erano molto graziose, ma a tanta bellezza faceva da contraltare una parlata piuttosto grezza. Ascolto, senza la curiosità di capire di cosa parlano, ma cercando piuttosto di intendere come parlano.

Quella che sulle prime mi era parsa una lingua dell’est, si rivela un dialetto della lingua italiana. Il mio orecchio si dispone come quando si sintonizzava la stazione della radio con la rotellina, in cerca della migliore frequenza. Mentre ascolto è come se il motore della mia comprensione linguistica si scaldasse, e individuo la provenienza di queste bucoliche donzelle.

Dall’altra parte l’uomo col figlio, contestualmente alla mia scoperta, si arrende ed esclama sconfortato “Io non sto capendo una parola di quello che dite!”.

Nemmeno io in effetti ci avrei capito un acca, pur abitando ad una distanza geografica dal Delta del Po inferiore a quella dell’uomo, che denotava una provenienza dal centro Italia, se non fossi abituata alla cadenza da conoscenze di persone del posto.

Mi piacerebbe chiudere qui il racconto, o al limite con la narrazione di quello che si è avventurato su una pista rossa col figlio principiante, e che ci hanno impiegato il tempo di due discese mie della stessa, una con Sofia al seguito, più la nostra pausa per la merenda, per arrivare a valle.
Invece è accaduto un episodio che mi ha lasciato un grosso interrogativo: Sofia decide di scendere dalla pista baby, servita per la risalita da uno ski-lift. Mentre l’accompagno e siamo in fila un bambino supera la fila di attesa, nella zona di imbuto prima di allinearsi, e ci passa davanti. A seguire, rapidamente, un altro, forse suo fratello. Di lì a poco una terza bambina evita in maniera palese la fila e si mette giusta davanti a me e Sofia.

Uno passi, due già mi irritano, tre è troppo: la richiamo e le dico, rivolgendomi a tutti e tre, che anche noi siamo in fila, di mettersi dietro.

Due papà da dietro la transenna che separa le persone in fila si ergono immediatamente in sua difesa: “eh ma è una bambina!!!”.
È la prima volta da quando sono diventata mamma che arrivo a riprendere dei bambini che non siano le mie figlie; generalmente oltre al “eh dai su … è piccolo” arrivava anche il resto “capirai quando avrai dei figli”. 

Davanti alla giustificazione della tenera età mi sento come un giocatore di poker pronto a calare l’asso: mi sposto quel poco che basta a lasciar vedere Sofia, e rispondo che anche io ho una bambina (e la mia rispetta la fila!). Aggiungo quindi che l’educazione, e il rispetto della fila, va insegnata sin da piccoli.
“Eh ma che modo – protestano i due, assalendomi – stia calma!!! Non è questo il modo!”

Mi trattengo dall’abbandonare la fila per andare lì a farmi spiegare quale sarebbe il modo giusto, visto che non l’hanno ancora individuato, e rispondo che spetta appunto a loro spiegarglielo, anziché intervenire in difesa di un simile comportamento.

Mi incalzano chiedendomi quanti anni ho, e decido di abbandonare la discussione, perché se esiste un’età giusta per iniziare ad insegnare l’educazione, pare che anche loro non l’abbiano ancora raggiunta.

Anche Sofia ha capito che il teatrino mi ha parecchio infastidito e ritorniamo alle piste azzurre.

Ma quando ritorniamo alcune ore dopo alla pista baby, i tre bambini sono ancora lì a superare le file, aiutati dai genitori che li fanno passare davanti a tutti proprio dove si chiude l’imbuto, indicando la direzione in cui infilarsi.