E’ un appuntamento fisso ormai quello del tour motociclistico dei passi alpini.
Organizzata una giornata di ferie e sistemate le bimbe al nido e al centro estivo si parte.
Andare in moto, anche se come passeggero, richiede comunque un certo impegno.
Pur essendo un giorno infrasettimanale il traffico è sostenuto, non ricordavo tutto questo sforzo muscolare per reggersi durante curve, sorpassi, frenate, tornanti. Già nelle prime ore di viaggio inizio ad accusare una certa fatica che mi concretizza il tempo che è trascorso dall’ultima volta che sono andata in moto e la consapevolezza degli anni che passano.
Però però però… il profumo di bosco bagnato, di erba appena tagliata, il verde brillante dei prati coperto da quello più intenso delle conifere; i colori del cielo spugnati da nuvole bianche… mi pare di viaggiare su un tappeto volante a poco più di un metro da terra.
Un tappeto che ogni tanto strappa e mi riporta alla realtà.
Consumiamo il pranzo in un rifugio. Io scelgo i canederli, sfidando la cortesia della locandiera che, non so per quale motivo, sembra restia ad accettare la mia ordinazione. In realtà osservo poi che tutto il servizio nel locale è alternativo dato che quando ci alziamo per andarcene, mentre indossiamo le protezioni, la cameriera ci chiede cosa desideriamo: non si ricordava già più che eravamo seduti al tavolo fino a due minuti prima.
Il tour procede, il panorama è decisamente meritevole anche se la pendenza mi fa sorprendere che ci sia chi affronta il nostro stesso percorso in bicicletta.
E poi i tornanti, numerati; che se li prendi in discesa va bene perché fai un countdown. Ma in salita? Quanti possono essere? A quanti si può arrivare? 20? 21? Anche 29! Ma poco cambia perché finita una serie se ne fa un’altra, come i Papi.
E proprio come il Papa inizio a considerare che la mia posizione da turista non mi si addice più di tanto e a farmi un film mentale in cui quando arriverò a casa, finalmente, bacerò il pavimento.
Il viaggio però è ancora lungo e, dopo un’altra sosta suggestiva sulla riva di un laghetto alpino durante la quale sorseggio un buon tè alle erbe di montagna, ripartiamo.
La moto però inizia a dare segni di scompenso, non vuole partire ma, complice la discesa, si fa convinta.
Fino a che, a forza di cercare discesa per la ripartenza, ci sospingiamo dentro la zona industriale di Agordo da cui ahimè la moto non riparte più.
Moto ferma ad un orario in cui dovevamo essere già a casa, invece mancano due ore di viaggio.
Per fortuna non siamo soli, così mentre io attendo seduta lungo le rive di un fosso, i centauri vanno a recuperare il pezzo di ricambio.
Che dire? anche dalla riva di un fosso in zona industriale il panorama alpino è pregevole.
Urca , che foto , intanto!………te le ruberei!
A racconto appena iniziato , ho cominciato a immedesimarmi con la tua schiena . Si vede che me ne intendo.
Bella la tua narrazione , dal principio alla fine.
Mi piace sempre come inserisci dettagli ameni nelle descrizioni anche alate….
Rifaresti l’impresa?
Un bacio
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Ecco… mentre fino a quest’anno non vedevo l’ora… adesso… sono appagata per un bel po’.
Ps: se ti va puoi rubarmi volentieri la foto!
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Ah, ecco.
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Ho ancora, a due settimane di distanza, un dito informicolato dalla presa molto stretta!!!
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Che sfortuna il guasto finale 😥
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A me quell’oretta di attesa è servita per riprendere fiato…
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Allora ok 🙂
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se vuoi avere le stesse senzazioni in maniera esponenziale vai a piedi e vai in alto! Tutta un’altra cosa.
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No no più passa il tempo e più mi rendo conto che sono donna da pianura!!!
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