Ho frequentato il liceo scientifico della mia città, il L.S. Statale Paolo Lioy.
Noto a molti come iLLLLioy.
Il naturalista vicentino che ha dato il nome all’istituto aveva questo cognome che inizia per L.
Il Liceo Lioy, una sovrabbondanza di L che qualcuno storpiava in Lì o Lì, tanto per dare l’idea delle alternative che offre.
All’inizio lo confondevo con il Lloyd, famoso istituto bancario, o con l’Henry Lloyd, il giubbotto che andava di moda in quegli anni.
Altre cose.
Illllioy (la L può indifferentemente leggersi com prolungamento dell’articolo Il o come iniziale appesantita del nome) si trova in pieno centro storico a Vicenza, a fianco del cugino Liceo Classico Pigafetta, che gli studenti spesso storpiavano in figa-petta.
Esiste un altro liceo scientifico a Vicenza, molto più moderno, il Liceo Quadri, nella zona est della città.
Il Lioy invece era (è?) una specie di museo, non tanto per l’edificio, in buono stato di conservazione, ma per il corpo docente attempato e soprattutto per una certa mentalità rigida che vige(va?).
Il primo incontro dei professori del Lioy è avvenuto una mattina di settembre, prima che iniziasse la scuola. Ero andata nella sede centrale dell’istituto per vedere la formazione delle classi e raccogliere la lista dei libri di testo; davanti al piazzale antistante l’ingresso, sulla via di transito che conduce dritta al corso principale, una scritta a caratteri cubitali, fatta con la stessa sostanza con cui si tracciano le strisce pedonali: TAVERNA ROJA.
Meditavo sui locali della zona: vero che avevo appena 14 anni e non li conoscevo tutti, ma a mio sapere lì intorno c’era la Cantinassa, una paninoteca sotterranea del centro. Potevano averla rinominata in taverna? sì ci stava! potevano definirla Roja anche solo a scopo pubblicitario? un po’ azzardato ma ci stava.
(* Roja è la scrofa, femmina del maiale).
Invece no, non era il pub ad essere reclamizzato, ma qualche studente poco soddisfatto dell’esito degli esami di riparazione si era vendicato.
Sopra la scritta passeggiava avanti e indietro un donnone di forma piramidale, che a gran voce chiedeva l’intervento dell’ufficio igiene e della polizia municipale: la professoressa Taverna.
Oltre a lei al Lioy insegnava tale professoressa Righetto, titolare della cattedra di francese, nota anche alle classi anglofone per quella sua pettinatura molto barocca, fatta di lunghissimi capelli raccolti in torrioni svettanti sopra il capo, sostenuti da trecce e fermagli, che rimanevano in bilico durante le sue lezioni, e credo che una parte della sua severità dipendesse anche dallo sforzo di reggere quell’impalcatura.
Tra gli insegnanti del mio corso posso citare il famigerato Chiantella, storia e filosofia, l’unico sulla faccia della terra che interrogava con il libro aperto. Il suo mito era l’Europa unita, e solo di quella ci parlava. Per lui tutti i concetti fondamentali avevano la maiuscola. Ma come lo diceva lui sembrava che avessero la A maiuscola: quindi passi per l’Amore con la A maiuscola, ma quando parlava della conoscenza con la (A) maiuscola scoppiavamo tutti in risatine.
Dell’Andreoli e dei suoi consigli a praticare training autogeno ho già avuto modo di raccontare.
L’edificio dell’istituto era troppo piccolo per ospitare tutte le classi, quindi il biennio veniva disperso nelle sedi staccate: la scuola media di contrà Riale, l’istituto delle suore Canossiane, la scuola elementare di piazzale Giusti, la palestra dei padri Filippini.
A volte era necessario recarsi presso la sede centrale, così parte delle ore di lezione veniva impiegata per gli spostamenti.
Il triennio era ospitato per intero nella sede dell’istituto, nella centralissima piazza San Lorenzo; le classi terminavano le lezioni tra le 12 e le 13, e nel piazzale antistante, dove la scritta ‘Taverna Roja’ ha campeggiato sbiadita per anni, si formavano dei capannelli, popolati anche dai ‘cugini’ del Pigafetta e da amici provenienti da altri istituti. Il sabato in particolare era il giorno più festoso, era tutto un organizzazione di ritrovi pomeridiani, serali e domenicali.
Il ricordo migliore di quegli anni è legato a colui che ha coordinato tutta la classe per la durata del triennio: il prof. Pontarin, insegnante di italiano. Gli piaceva tenere lezioni intense, svincolarsi dai libri di testo, raccontare la letteratura a modo suo.
Insisteva molto sull’importanza dell’incipit di un tema, quella che ho scoperto poi chiamarsi Captio Benevolentiae.
“Sin dai tempi più antichi l’uomo…”: ma cosa ne sai tu dei tempi più antichi? c’eri?
Oppure “apro il mio vocabolario alla parola xxxx” (sostituire xxxx con il termine chiave della traccia): ma perché devi aprire il vocabolario? chiedeva.
Adesso ogni volta che leggo i post che iniziano citando Wikipedia mi viene in mente lui.
“In quanto” non si dice, ripeteva allo sfinimento: “in quanto” significa PERCHE’; scrivi PERCHE’.
Quando si usciva interrogati, se si iniziava a rispondere con un “Allora…” ti bloccava subito: allora è conclusivo, non può iniziare un discorso. Il malcapitato ripartiva con “Dunque” per essere subito interrotto: anche dunque è conclusivo.
Così toccava censurare tutta la prima parte di riscaldamento del discorso per poter iniziare a rispondere ai suoi quesiti.
Sarei curiosa di ascoltare i suoi commenti sarcastici di fronte al dilagare di locuzioni come ‘piuttosto che’ usato per continuare un elenco e di ‘quant’altro’ per concluderlo.
Pontarin faceva una cosa che oggi sembra inammissibile anche per il secolo scorso, eppure era così: fumava in classe. Ovvero entrava in classe con la sigaretta accesa, attraversava l’aula e si dirigeva verso la finestra, la apriva e terminava la sua cicca. Poi andava a sedersi in cattedra ed iniziava la lezione.
Robe del paleolitico, invece erano gli anni ’90.
A lui devo parecchie incazzature, per avermi spronata a dare il massimo anche quando sarebbe bastato uno sforzo inferiore per conseguire risultati comunque sufficienti.
Col senno di poi gli riconosco il merito di avermi svelato che lo stesso rigore che mi faceva prediligere le discipline scientifiche può essere applicato, con soddisfazione, anche a quelle umanistiche.
Bello…
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Grazie 😊
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Comunque bei tempi quelli del liceo, no?
Il mio aveva le sbarre alle finestre con scritto “CI” (Carceri Italiane) perché ex istituto di detenzione. Anche noi ci sentivamo tali.
🙂
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Ah ah… io comunque ricordo di aver faticato molto e onestamente non ho tutti sti ricordi positivi
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Diciamo che io ho passato un solo anno davvero complicato, ma poi è andata meglio
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Io non ho avuto problemi o complicazioni, è sempre andato tutto liscio. Ma che fatica!!!
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Che bei ricordi ….😉sai una mia carissima amica si è trasferita a Vicenza da poco…e mi racconta molto della città😉
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Sono di parte ma è un gran bel posto… una città moderna ma piccola e vivibile…
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Così mi dice anche lei …😉
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Si può dire che , da come scrivi tu , si nota come ti ha preparato bene?
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Ti ringrazio sei sempre gentile…
Ma sai che tedio? Questo periodo è troppo complesso, spezzalo. Dillo con parole tue, semplici. Soggetto-verbo-complemento. A volte la chiarezza è frutto di un lavoro molto oneroso, l’ho imparato ‘sudando’.
In parte credo anche fino a penalizzare una certa creatività …
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E’ come una musica suonata male…. un pensiero scritto in qualche modo…
Mi domando quante tue compagne d’allora avranno seguito i suoi insegnamenti….Non per tutti scrivere bene ha un valore.
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Mah penso che volenti o nolenti certe cose le imparavano tutti
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Anche io avevo un professore che fumava in classe, era grasso come una roja prima di partorire, ricordò che ci fu uno sciopero delle sue classi per imporre alla presidenza di mettere un freno alle sue 20 sigarette fumate in un ora. Alla fine preferì andare in prepensionamento piuttosto che non fumare e ci ritrovammo con una prof di economia aziendale che era sicuramente una figlia di Hitler, alla fine abbiamo rimpianto le 20 sigarette.
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No 20 sigarette noooo… lui semplicemente entrava e finiva la cicca. Ci pensi adesso???
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Questo passava l’ora a fumare! Appena ne finiva una accendeva l’altra, a fine lezione potevamo cantare ” nebbia in val padana” e saremmo stati a tema pur essendo in sardegna ahhahah. Ora una cosa del genere sarebbe impossibile
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Ah ah…. da noi in piena val padana la nebbia é una consuetudine
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Ah le superiori, quanti ricordi . Anche io avevo una professoressa di italiano che mi ha a dir poco illuminato, per il resto mi è sempre sembrato di aver fatto cinque anni nel film La Scuola, quello con Silvio Orlando, l’hai mai visto? Merita tantissimo
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Mi pare di ricordare qualche scena… ma se mi capita lo riguardo perché a parte Silvio Orlando non ricordo nulla!!!
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Però che bello un prof che ti ha lasciato qualcosa. Io di alcuni neanche ricordo il nome e il cognome. Hanno praticamente scritto sulla sabbia…
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In linea di massima sono stata fortunata… ho avuto, almeno per le materie principali, dei validi insegnanti
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