Venezia che muore
Venezia appoggiata sul mare
Cantava Guccini nell’81 e io interpretavo che il destino di Venezia, città poco abitabile perché appoggiata sul mare, sarebbe stato quello di scomparire sprofondando.
Seeehh, scomparire!
Venezia è una città unica al mondo, che più ce l’hai vicino e più la sottovaluti, per quel dogma che le cose le apprezzi di più quando sono fuori portata.
Altro che morta, altro che affondata: Venezia è un caos, è una calamita di turisti dal potere magnetico strabiliante.
Per i corregionali è una destinazione agevole via treno, il rapporto tempo di percorrenza / prezzo è buono: ce ne è uno ogni ora, se ci si adegua per i tempi o si accettano costi un po’ più alti, anche ogni 20 minuti.
Il bigliettaio sbaglia a stampare i biglietti ma me ne accorgo in tempo: come mai il ritorno costa meno che l’andata? Avremo il vento a favore? Ah no… me li ha fatti da Verona.
Il regionale veloce costa la metà del freccia rossa, impiega il medesimo tempo e soprattutto non è in ritardo; troviamo anche posto a sedere, deve essere un giorno fortunato!
Al capolinea si ha l’impressione, per quantità di negozi e per il via vai di gente, di trovarsi in un aeroporto più che in una stazione ferroviaria.
Una volta fuori dalla stazione basta poco per estrarsi dal flusso: basta rifiutare una delle indicazioni ‘per San Marco’ e sei subito in un girone parallelo, scevro di turisti.
Dal treno hanno ricordato l’ordinanza che fa divieto di portare la bicicletta, anche a mano. Mi chiedo chi possa inventarsi di girare Venezia in bicicletta, e se la cosa non andrebbe estesa, per buon senso, anche ai monopattini.
La giornata, dopo un forte temporale notturno, è incredibilmente estiva.
Ogni ponte è uno spettacolo da cui osservare le case, fondate sotto acqua, le barche, le rimesse delle barche (i garage dei veneziani), le gondole, lo sciabordio che segue al passaggio delle imbarcazioni, il riverbero della luce che filtra da sopra i tetti o che si scorge oltre le calli.
Chissà chi sono gli abitanti di Venezia, chissà se esistono ancora i veneziani.
Una città che attira un turismo da metropoli e che ha le infrastrutture di un borgo.
L’ospedale civile assomiglia a una chiesa, a un palazzo antico; sembra incredibile che dentro vi siano le indicazioni per il CUP o la zona prelievi o i reparti di degenza.
Divieto, in segno di doveroso rispetto verso i malati, di scattare fotografie all’interno.
Pranziamo al Paradiso perduto; un tizio sul fondo della sala sta sbucciando aglio: lo fa ininterrottamente per le due ore che rimaniamo seduti dentro.
Ci sono molti avventori; a fianco di noi una tavolata numerosa: ordinano i bigoli (estrusi al torchio) al cacio e pepe; il ragazzo che li serve rimesta con energia la pasta dentro una forma di cacio e poi col pestello sminuzza il pepe e cosparge i piatti in cui ha porzionato la pietanza.
Una parte del prezzo va riconosciuto a questo spettacolo teatrale.
Alcuni dei commensali accompagnano con il cappuccino come bevanda: non sono veneziani.
Dopo pranzo puntiamo doverosamente verso piazza San Marco, sempre seguendo un percorso alternativo.
Fa molto caldo, ogni tanto sostiamo sotto le frasche di qualche recinzione; guardi dentro e scopri una villetta col giardino.
Quanto costa una casa a Venezia? Quanto costa vivere a Venezia? Chi sono i veneziani?
Lungo una fondamenta, la banchina che costeggia un canale, dove l’ombra non c’è, incontriamo due ragazze, ma direi forse due fotomodelle, che indossano ciascuna un paio di stivali neri, di cuoio, al ginocchio; entrano in uno dei portoni, varcano la soglia protetta da una lamiera: anche se questa giornata è assolata, il problema dell’acqua alta è una costante.
In un campo più avanti troviamo una coppia di giovanissimi sposi: spostarsi a piedi il giorno delle nozze è singolare. Eppure sembrano non farci caso, nè gli sposi nè gli invitati.
(Chi sono i veneziani? Per certo gente abituata a camminare)
Mi diletto ad osservare le scarpe altrui: sembra che non tutti soffrano il male ai piedi; molte donne, con l’obiettivo di foto memorabili, sono vestite di tutto punto con i tacchi alti; altre hanno sandali aperti incuranti della sporcizia a terra; altre ancora delle fantasiose ciabatte rivestite esternamente di colorato peluche.
Dal terrazzo di un’abitazione si ode il suono di una chitarra che accompagna il canto di un uomo: è seduto nel pergolo, si dedica al suo hobby e involontariamente fa da colonna sonora a tutti quelli che passano.
(Chi sono i veneziani? Artisti di casa)
Descriverlo non basta a rendere la poesia che si spande, il senso di astrazione dal tempo e di intensificazione del luogo in cui ci si trova.
Finalmente arriviamo a piazza San Marco, affollatissima; una lunga fila per l’ingresso alla basilica, il resto sparsi per la piazza.
I piccioni, prede di Viola per i suoi attacchi spaventosi (gli fa buh e loro volano via), si aggregano attorno a chi gli dà da mangiare: un paio di fotografi li sfruttano per scattare ai turisti delle foto in cui, come San Francesco che parla agli uccelli, li accolgono sulle braccia.
Che schifo! non farei la foto col piccione nemmeno se fossero i fotografi a pagare me; ma la cosa che mi urta è che i fotografi scacciano Viola ‘ehi bambina vai via!’ ???
A che titolo?
(Chi sono i veneziani? Persone gelose del proprio territorio e della sua fauna).
Sulla via del rientro passiamo per campo santo Stefano, dove vendono il gianduiotto (che io chiamavo mattonella): un blocco di gelato alla gianduia immerso in un bicchiere di panna montata.
Nessuno del gruppo lo vuole, ma uno alla volta cambiano tutti idea: dopo quattro ordinazioni al bar ho imparato la giusta denominazione del prodotto.
(Chi sono i veneziani? Commercianti pignoli)
Un fornaio espone una botte ornamentale fuori dalla sua bottega; sopra di essa alcune lattine vuote e bottiglie schiacciate; mentre cerco il foro per gettare dentro uno scontrino accartocciato che mi sto tenendo in mano da chilometri, il negoziante da dietro il vetro si infuria e inizia a picchiare con le nocche ed inveire, perché non si tratta di un cestino, nonostante le parvenze.
(Chi sono i veneziani? Esercenti sul piede di guerra)
Per le calli si alternano negozi di generi alimentari e botteghe di alta moda, semi deserte.
Il personale di Damiani, di Louis Vuitton e delle altre boutique è gente del luogo, e ispira simpatia sentirli parlare con la tipica cadenza veneziana, fuori dall’ingresso in attesa dei clienti: riporta la città ad una dimensione più terrena.