Fino a tre anni fa non sapevo cosa fosse esattamente un blog. Credevo che fosse il sito web di Beppe Grillo e forse di qualche altro nome famoso.
Seguivo anche alcuni profili di larga risonanza su Facebook, Selvaggia Lucarelli per fare un esempio chiaro, o Natalino Balasso.
Un giorno, scorrendo la mia bacheca, ho aperto un link ad un sito (che non ha nulla a che fare con i nomi che ho citato) e ci ho trovato un post con un divertentissimo decalogo.
Sono risalita all’autrice di questo decalogo e ho scoperto che anche lei gestisce un blog.
Si tratta di un nome piuttosto conosciuto, ma di un ordine di grandezza inferiore ai precedenti in termini di visibilità.
A me però risultava una nuova conoscenza; ho iniziato a seguirla, mi affascinava leggere i suoi pezzi, erano diventati una compagnia quotidiana irrinunciabile; mi sentivo come se avessi trovato una nuova amica, tanto la sentivo vicina.
Parallelamente ho pensato che un blog, quindi, era una cosa semplice, ‘potrei aprirne uno anche io’.
Ho smanettato un po’ con WordPress… et voila, il mio blog.
Ora come ora mi rendo conto di aver peccato di ingenuità, ma allora io mi sentivo come se avessi creato chissà cosa, e pensavo che il semplice fatto di pubblicare i miei pensieri senza restrizioni sulla privacy avrebbe portato ad una visibilità totale.
Pensavo che di lì a qualche giorno tutti sarebbero venuti a conoscenza del mio canale e tutti avrebbero seguito con attenzione le mie esternazioni, manco fossi stata il presidente della repubblica.
Quando dico tutti non intendo ‘tutti coloro che mi conoscono’, intendo tutte le persone in grado di comprendere la lingua italiana scritta.
Pensavo che tutti avrebbero iniziato ad interagire, commentare, che avrei avuto un’infinità di amici, o di haters.
Avrei dovuto capire abbastanza in fretta che la cosa andava ridimensionata, che anche se avessi pubblicato una mia foto nuda o il PIN del bancomat la diffusione dei miei post sarebbe rimasta ancorata a terra.
Invece per un bel pezzo mi sono scervellata su quali fossero i trend topic per cavalcare l’onda della visibilità, su come scrivere o descrivere una situazione, su quali misteriosi meccanismi avrebbero fatto sì che le stesse cose che dette dagli illustri portavano a millemila commenti, likes, condivisioni, potessero ottenere pari riscontro se scritte da me.
Per un bel pezzo ho navigato con la bussola della visibilità, puntando ad incrementarla di giorno in giorno, come obiettivo prioritario, forse unico.
Poi come succede spesso nella vita, mentre io mi accanivo verso un traguardo, lungo il percorso è successo tutt’altro.
Accade che ci si prepari a testa bassa per raggiungere un obiettivo e lo si manchi, maledicendo gli sforzi inutili.
Invece poi ci si guarda indietro e ci si accorge che a regalare soddisfazione era la strada (una linea), non la destinazione (un punto).
Così nella mia avventura da blogger mi sono affiancata ad altri, chiamiamoci pure bloggers, che al pari mio stavano remando, chi con una canoa, chi con una barca a motore, e navigando verso la stessa chimera.
Con alcuni di questi bloggers, ma anche semplicemente con alcuni lettori ‘passivi’ ovvero non impegnati a loro volta in un blog, è nata un’intesa.
Riguardando indietro mi rendo conto che ciò a cui aspiravo è probabilmente fuori portata, ed esula dai miei interessi, ma che ho raccolto un qualcosa che è incommensurabilmente più prezioso.
Seminando post a tema variabile, raccontando con un filone assolutamente casuale ciò che mi passa per la testa, le mie considerazioni, i miei aneddoti, capita a volte di arrivare a toccare le corde di chi mi legge, di creargli un pensiero positivo, di farlo sorridere.
Anche a me succede di attendere le pubblicazioni delle persone che questa attività mi ha fatto incontrare, mi fa piacere conoscere dettagli anche poco rilevanti, se hanno indossato i calzini a pois o se hanno provato a bere il caffè senza zucchero.
Mi sono resa conto che in rapporto a un milione di commenti tutti ugualmente banali preferisco leggerne pochi ma partecipati, che nemmeno avrei il tempo di stare dietro a un seguito troppo dispersivo.
Che ricevere anche un solo like, senza commenti, crea comunque un filo di collegamento.
Che alcuni profili / bloggers che seguo scrivono sistematicamente cose che trovo irritanti, ma continuo a leggerle perché mi aprono una finestra sulla differenza di carattere e di cultura.
Finché ci sarà anche una sola persona che mi segue, che mi legge, che mi apprezza, che aspetta che io racconti qualcosa, tutti gli altri novantanove milioni novemila novecento novanta nove possono anche andare al diavolo.
Finché ci saranno post altrui che mi faranno riflettere, sorridere o forse anche sbuffare, io continuerò a mettermi in gioco per esprimere il mio pensiero in proposito.
Oggi quando sbircio la bacheca dei ‘famosi’ lo faccio con occhio critico, e mi accorgo che certi post vengono proposti e riproposti numerose volte, o che la bacheca funge da piattaforma di lancio per le loro edizioni o quelle dei loro amici.
Mi sento, da lettrice, trattata non come amica, come mi ero sentita in fase iniziale, ma come cliente.
Mi sento tradita, a volte vivo la lettura di certi profili come una virtuale amicizia, attendo racconti genuini, sinceri; quando capisco che così non è mi sento ingannata.
Non è questa la mia ambizione, non voglio diventare un’attrice, non sono un personaggio inventato, sono solo una che ha voglia di comunicare con altri che siano interessati a farlo.