Dicembre. Dicembre 2018. Ultimo mese dell’anno, ora di ricomporre l’albero, e mi sembra ieri che l’ho riposto nel sottoscala.
Qualche sera fa ho aperto una scatola dal contenuto misterioso, ci ho trovato dentro alberelli, frutto di lavoretti scolastici, fatti con l’anima della carta igienica o con altri materiali di fortuna. Si sono ripresentati puntuali, non c’è che dire; se la stessa scatola l’avessi aperta ad agosto probabilmente avrei fatto proseguire al contenuto (o alla scatola intera?) il percorso verso il bidone del secco. Così si sono salvati, per ora.
Alcuni anni fa durante il periodo delle festività natalizie Sofia aveva preso l’abitudine di portarsi in doccia delle statuine del presepio, a cui faceva il bagnetto; pur di non spezzare questa catena coi suoi indiscutibili risvolti positivi (dai che è ora di lavarsi, c’è anche il katalìcammello) ho tenuto in doccia Baldassarre e Melchiorre fino al Natale successivo.
Giorni, settimane, mesi che si inanellano; la sensazione è quella di mantenere bassa la linea dei blocchi caduti alla base del tetris. Blocchi che scendono sempre più velocemente e non mi danno tempo di pensare. Pensieri che si affastellano, il tempo che corre, la vita che avanza, ogni tanto si inceppano, dimentico un dettaglio, poi recupero, e corro.
Fermate la giostra, vorrei scendere, vorrei guardare da ferma da giù.
Inizio un pensiero, non lo porto a termine, non lo riesco a completare, un altro prepotente lo scansa, e poi un altro ancora.
Non riesco a scrivere, principalmente perché non riesco a pensare: non scrivo nemmeno messaggi, a volte neanche rispondo.
La giostra gira, peccato fermarla, ma in corsa ho paura di cadere, continuo a girare con lei, sempre più veloce, vorticosamente.
Un anno, questo 2018, iniziato in modo bizzarro: ore 3.00 del primo gennaio mi fermano i carabinieri “Ma si è resa conto che è passata col rosso?”
Sì, me ne sono resa benissimo conto, ma io non volevo, stavo giusto discutendo che il semaforo non ha solo due fasi ma almeno tre, forse quattro, forza muoviti che sei in mezzo a un incrocio.
Però sono passata, guidavo io e sono l’unica responsabile delle mie azioni, niente scuse puerili.
Favorisco i documenti, la cosa finisce lì.
Tempo una settimana che gennaio è iniziato e un’influenza da cavalli mi stende a letto per dieci giorni.
Se il buongiorno si vede dal mattino, dicono.
Invece no, tutto sommato non ho particolari recriminazioni da fare all’anno che se ne va.
Mentre ci penso mi ritorna quella data siciliana di metà anno, tanto attesa quanto deludente, marcato spartiacque tra aspettative e realtà.
Rimugino, insisto. Sotto la coltre della mia disillusione pensieri positivi si aprono un varco, emergono boccioli di ricordi belli, di momenti di amicizia, di traguardi raggiunti in altri ambiti, di soddisfazioni estranee all’obiettivo.
Momenti spensierati trascorsi in compagnia; messaggi inaspettati, per l’arrivo ma soprattutto per il contenuto; Viola che spinge sui pedali di una bici senza rotelle, la mia mano allenta la presa della sella, le mie gambe rallentano la corsa, lei procede ugualmente, autonoma.
Scoprire che a volte basta un sorriso per iniziare un dialogo, che ad un dialogo si aggancia una conversazione, e da una conversazione può nascere un’amicizia; scoprire che alcune persone sono molto più sole di quanto ogni tanto mi capita di sentirmi.