La coda dell’arcobaleno

Aveva sentito dire che là dove finisce l’arcobaleno si trova una pentola piena di monete d’oro.

Se la immaginava grande come quella in cui Panoramix prepara la pozione; non una pentola di quelle moderne, adatte ai fornelli ad induzione, con qualche congegno sul coperchio per misurare la temperatura interna: al contrario si figurava un pentolone di un metallo sottile, dai bordi slabbrati. Tondeggiante e capiente, e soprattutto piena di ricchezza.

Era un giovanotto credulone Alfonso, credeva alle leggende, soprattutto se promettevano qualcosa di buono.

Così dopo la pioggia intensa, non appena il sole aveva ripreso a splendere e aveva incontrato mille gocce ancora sospese nell’aria, formando il caratteristico spettro di colori, Alfonso si era precipitato alla ricerca della sua coda.

Poco importava se bisognava attraversare il bosco, anzi ne avrebbe potuto approfittare per una passeggiata rinvigorente: respirare il profumo di umidità, di legno bagnato, di funghi; ascoltare il cinguettio degli uccellini; praticare un po’ di movimento e guadagnarne in salute.

Ma dopo ore di cammino la coda dell’arcobaleno andava sparendo, senza rivelare nessuna pentola nè, ovviamente, nessun tesoro.

L’unica sorpresa che gli era stata riservata era un ruzzolone sulle foglie scivolose, a causa del quale si era infradiciato fino alle mutande.

Non restava che fare ritorno a casa e cercare nell’armadio qualcosa di asciutto con cui cambiarsi.

(Esercizio di scrittura: #pentola #bosco #armadio)

Scema & +Scema

C’è che la linea internet da sabato ha dato forfait, ed è un guaio; si sopravvive un minuto senza aria, un giorno senza acqua, per sempre senza una risposta, ma quanto senza connessione?

Questo pomeriggio il tecnico è uscito, dietro segnalazione ma senza alcun preavviso; tocca correre a casa perché pare debba verificare qualcosa di non meglio precisato sull’attacco, o sul router chi lo sa, e bisogna aprirgli la porta.
Ma del tecnico nemmeno l’ombra.
Faccio un paio di verifiche ma è tutto rotto come prima.
Finalmente la connessione ritorna e chiamo il marito, che si era occupato di contattare il tecnico, per comunicarglielo.
Proprio in quell’istante sento suonare il campanello ed interrompo la telefonata prima di ricevere risposta; vengo istantaneamente richiamata, ma non rispondo, perché impegnata ad accogliere il tecnico.

Gli riferisco che è tutto ok, gli faccio vedere che Netflix è ripartito.
Lui allora mi chiede di verificare anche il funzionamento del telefono fisso, ed è così che dal numero di casa, con il cordless, mi chiamo sul cellulare.
Eureka, va tutto, grazie e arrivederci.

Ed è qui che il genio si scatena: richiamo il marito, che avevo lasciato senza risposta (potrebbe sopravvivere per sempre ma io sono puntigliosa): dal cellulare ripeto l’ultimo numero, registrato a suo nome.

Sento suonare il fisso e a questo punto mi spazientisco per la sua impazienza: possibile non riesca ad attendere che lo richiami?

Brillante idea, rispondo.
E mi aspetto di sentirlo, cioè di sentire lui, la sua voce, su entrambe le linee.
“Pronto? Pronto?”
Mah… è una voce femminile… Pronto?

La domanda rimbalza con un lieve sfasamento da un orecchio all’altro.

Ma chi è???? Chi parla???

AAH SI…. SONO IO!

Mi faccio la domanda, mi dó la risposta.

Rosso o blu? Questo è il dilemma

Negozio di bricolage una domenica mattina di quasi primavera. Clientela quasi esclusivamente maschile, tutti concentratissimi ad individuare tra gli scaffali la giusta brugola o il raccordo della misura cercata.

Nessuna musica allieta nè i dipendenti nè i visitatori.

Un tranquillo viavai di gente intenta a procurarsi il materiale per qualche manutenzione domestica, o forse per il lavoro settimanale.

Alle casse file importanti, anche 4 o 5 in attesa per ciascuna; ognuno ha pochi pezzi in mano o nel cesto, ma si formano delle batterie ordinate di gente che attende in piedi il proprio turno.

Improvvisamente un pianto interrompe il brusio sommesso che aveva regnato fino a poco prima.
Nessuno sembra curarsene. È un pianto che sembra più di noia, non è certo un capriccio nè un pianto disperato.

Proviene da un bimbetto che staziona sulle spalle del suo papà, in fila alla cassa come molti altri.

Nessuno sembra interessarsi alla causa; il bimbetto, sotto una cuffietta in jersey calata fino alle sopracciglia, non smette.

Dopo un certo numero di singhiozzi il papà, senza scomporsi, porge al figlio un ciuccetto di colore rosso.
Il piccolo lo accetta con la mano destra, se lo rigira un po’ mentre lo guarda da diverse angolazioni e anziché infilarselo in bocca ne estrae un altro dalla tasca del suo giubbetto con la mano sinistra, azzurro.

Brandendo entrambi i ciucci non accenna a smettere di piangere e, sempre singhiozzando, inizia a chiamare la mamma.

<<Mammaaaaa, mammaaaa>>.
ripete a ritornello.

Tra i presenti non sembra suscitare nessun interesse, nessuno si gira a guardarlo, nessuno interviene e soprattutto nessuna mamma sembra arrivare in suo soccorso.

Nemmeno il papà prova altri mezzi per quietare il piccolo, che con le manine sollevate esibisce i ciucci; sembra voler dire che i suoi bisogni sono altri, che la soluzione non era il ciuccio, è la mamma che lui vorrebbe: se voleva il ciuccio ne aveva già uno in tasca.

<<Mammaaaaa, mammaaaa>>.

Ma la mamma, nè nessun altro, arriva.

Rassegnato, e forse galeotto l’arrivo al proprio turno in barriera casse, infila il ciuccio azzurro in bocca e silenzia il suo stesso pianto.

L’altro, quello rosso, lo recupererà il papà dopo aver pagato, pronto per le prossime emergenze.