“E’ il primo giorno però domani ti abituerai
e ti sembrerà una cosa normale
fare la fila per tre, rispondere sempre di si
e comportarti da persona civile….”
Ci tenevo tanto da bambina ad essere ‘normale’, ad avere una famiglia ‘normale’, a vivere ‘come tutti gli altri’.
Invece dal di dentro mi sembrava tutto così strano, così insolito, così difforme dallo standard.
Ricordo che una volta alla scuola elementare il maestro ci assegnó un tema sulla primavera, da svolgere in forma di intervista.
Già il fatto che io avevo un maestro e non una maestra deviava dallo standard.
Comunque, dicevo, il tema: chiedere ai tuoi famigliari cosa apprezzano della primavera.
Io mi aspettavo risposte tipo ‘gli uccellini che cinguettano’ o ‘i fiori che sbocciano’.
Mio papà mi diede la seguente risposta: finalmente tua mamma smetterà di cacciarmi i piedi gelati tra le gambe quando andiamo a dormire.
Anatema, sono andata in crisi: ma ti pare una risposta normale? Io questa non la scrivo!
E giù una litigata.
A casa mia le discussioni per futili motivi erano normali.
A carnevale avrei voluto che mi comperassero un banalissimo vestito da fatina, come tutte le altre bambine. Nisba: il vestito me lo confezionava mia mamma, una volta da coniglio, una volta da margherita, il compromesso più prossimo alla normalità è stato quello da clown.
Le vacanze? Perché non possiamo andare in riviera adriatica, a Jesolo o Bibione come tutti gli altri? No, noi sempre qualche viaggio itinerante in Francia, Grecia, Jugoslavia…
Così io gli ‘amici del mare’ non li ho mai avuti.
Potrei continuare: io no il libro delle vacanze, io no danza -sei troppo alta Elena, io la domenica a messa ci andavo di mia sponte, perché nessuno mi ci accompagnava.
Poi crescendo alle scuole medie e superiori ho cominciato a fare mia la anormalità: le compagne si trovavano il pomeriggio a fare i compiti? Io mi allenavo in piscina tutti i pomeriggi, quindi ero sempre tagliata fuori dai gruppetti, ma non me ne importava granchè.
Quando è stato il momento di scegliere la facoltà universitaria non ho avuto dubbi: mi iscrivo a ingegneria. Una donna? Certo, perché no, dove sta scritto che le donne non possono diventare ingegnere?
Per certi aspetti il mio rompere i cliché è diventata una sfida: lavorare in ambienti maschili (ma … è un lavoro ‘da uomo’, mi sono sentita dire spesso; non lo è, ma di fatto non ho mai avuto colleghe donne), praticare sport assiduamente anche con l’avanzare degli anni; ad un certo punto, raggiunta una certa auto consapevolezza, mi sono guardata attorno ed ho iniziato a scorgere la mia lontananza da #cosaènormale.
Io che credevo che, visto che lo faccio io, e lo faccio tutti i giorni, è normale, lo fosse per tutti.
Invece sì, è normale per me, ma non per il resto del mondo.
Così come le cose più comuni, cosiddette ‘normali’, per me non lo sono.
Normale è tenere un animale domestico? Io non ne voglio!
Normale è sedersi sul divano la sera e seguire una trasmissione alla tv? Io no.
Normale è interagire con le altre mamme al parco o fuori da scuola? Io non so veramente che dire.
Alle mie figlie però lascio scegliere senza obiettare, anche quando una cosa mi sembra troppo normale, scontata e magari noiosa.
Per un bambino sentirsi ‘normale’ è un aspetto importantissimo, lo aiuta a non stuzzicare troppo un’autostima in via di sviluppo.
Il risultato è che Viola, interrogata su quale costume vorrebbe per carnevale, non so Elsa di Frozen o meglio Anna? Mi ha risposto Spiderman!