Ma cosa è normale?

“E’ il primo giorno però domani ti abituerai

e ti sembrerà una cosa normale

fare la fila per tre, rispondere sempre di si

e comportarti da persona civile….”

Ci tenevo tanto da bambina ad essere ‘normale’, ad avere una famiglia ‘normale’, a vivere ‘come tutti gli altri’.

Invece dal di dentro mi sembrava tutto così strano, così insolito, così difforme dallo standard.

Ricordo che una volta alla scuola elementare il maestro ci assegnó un tema sulla primavera, da svolgere in forma di intervista.

Già il fatto che io avevo un maestro e non una maestra deviava dallo standard.

Comunque, dicevo, il tema: chiedere ai tuoi famigliari cosa apprezzano della primavera.

Io mi aspettavo risposte tipo ‘gli uccellini che cinguettano’ o ‘i fiori che sbocciano’.

Mio papà mi diede la seguente risposta: finalmente tua mamma smetterà di cacciarmi i piedi gelati tra le gambe quando andiamo a dormire.

Anatema, sono andata in crisi: ma ti pare una risposta normale? Io questa non la scrivo!

E giù una litigata.

A casa mia le discussioni per futili motivi erano normali.

A carnevale avrei voluto che mi comperassero un banalissimo vestito da fatina, come tutte le altre bambine. Nisba: il vestito me lo confezionava mia mamma, una volta da coniglio, una volta da margherita, il compromesso più prossimo alla normalità è stato quello da clown.

Le vacanze? Perché non possiamo andare in riviera adriatica, a Jesolo o Bibione come tutti gli altri? No, noi sempre qualche viaggio itinerante in Francia, Grecia, Jugoslavia…

Così io gli ‘amici del mare’ non li ho mai avuti.

Potrei continuare: io no il libro delle vacanze, io no danza -sei troppo alta Elena, io la domenica a messa ci andavo di mia sponte, perché nessuno mi ci accompagnava.

Poi crescendo alle scuole medie e superiori ho cominciato a fare mia la anormalità: le compagne si trovavano il pomeriggio a fare i compiti? Io mi allenavo in piscina tutti i pomeriggi, quindi ero sempre tagliata fuori dai gruppetti, ma non me ne importava granchè.

Quando è stato il momento di scegliere la facoltà universitaria non ho avuto dubbi: mi iscrivo a ingegneria. Una donna? Certo, perché no, dove sta scritto che le donne non possono diventare ingegnere?

Per certi aspetti il mio rompere i cliché è diventata una sfida: lavorare in ambienti maschili (ma … è un lavoro ‘da uomo’, mi sono sentita dire spesso; non lo è, ma di fatto non ho mai avuto colleghe donne), praticare sport assiduamente anche con l’avanzare degli anni; ad un certo punto, raggiunta una certa auto consapevolezza, mi sono guardata attorno ed ho iniziato a scorgere la mia lontananza da #cosaènormale.

Io che credevo che, visto che lo faccio io, e lo faccio tutti i giorni, è normale, lo fosse per tutti.

Invece sì, è normale per me, ma non per il resto del mondo.

Così come le cose più comuni, cosiddette ‘normali’, per me non lo sono.

Normale è tenere un animale domestico? Io non ne voglio!

Normale è sedersi sul divano la sera e seguire una trasmissione alla tv? Io no.

Normale è interagire con le altre mamme al parco o fuori da scuola? Io non so veramente che dire.

Alle mie figlie però lascio scegliere senza obiettare, anche quando una cosa mi sembra troppo normale, scontata e magari noiosa.

Per un bambino sentirsi ‘normale’ è un aspetto importantissimo, lo aiuta a non stuzzicare troppo un’autostima in via di sviluppo.

Il risultato è che Viola, interrogata su quale costume vorrebbe per carnevale, non so Elsa di Frozen o meglio Anna? Mi ha risposto Spiderman!

Entropia

Sai perché i buoni propositi sono destinati al fallimento? Perché si ancorano ad un terreno cedevole!

Da lunedì inizio la dieta, a settembre parto con la palestra, con l’anno nuovo non mi mangerò più le unghie… tutte belle intenzioni che mancano di un solido appoggio. Cosa succede lunedì / a settembre / con l’anno nuovo? Nulla! Cosa cambia rispetto al lunedì precedente, l’anno prima o il settembre successivo? Ancora: niente!

E soprattutto… Cosa accade se interrompo la novità? Chi se ne infischia!

E così l’ideale stile di vita proposto in simbiosi con la data perfetta si dissolve nell’entropia della vita ed in breve tempo, il necessario ad appurare che ‘d’ora in poi’ equivarrebbe ad un faticoso, talora insostenibile, ‘per sempre’, si ritorna alla normalità.

Se invece il proposito è legato ad una motivazione concreta, generalmente una ragione di salute nostra, o per il bene di una persona cara, la riuscita è molto più probabile. Si può smettere di fumare l’11 settembre o iniziare un’alimentazione sana il 27 di marzo: non è la data anonima che condiziona la riuscita di una nuova abitudine.

La nostra esistenza scivola tra uno stato di normalità e l’altro: a tutto ci si abitua, e quando la situazione cambia si ridefinisce il modello di normalità.

Dopo una malattia, una separazione, la perdita di una persona cara; ma anche dopo un matrimonio, la nascita di un figlio, l’inizio di una nuova attività lavorativa: dopo una fase di transizione, di tempesta, di sconvolgimento si ritrova un equilibrio.

Questo 2018 è iniziato di lunedì: quale migliore premessa per una ripartenza? Un inizio al quadrato, terreno fertile per buoni propositi che io, tenendo fede a quanto appena detto, non ho formulato. Però ho colto l’occasione per ritornare alla normalità con una pesante azione di decluttering.

Un alleggerimento degli spazi che ha creato una nuova prospettiva, fatta di luce e di ordine e di facilità di movimento.

Svuotato il frigo dagli avanzi, la taverna da vecchi giocattoli, sostituito un costume per la piscina; giù tutti gli addobbi, suggestivi per i primi giorni ma poi, ammettiamolo, inutili orpelli.

Difficile contrastare il lento deposito di nuovi strati di ammennicoli, che anzi sarà inevitabile.

Ora intanto mi godo il respiro che la minimalità domestica mi offre.

#aedidigitali

#ritornoallanormalità

Il grande Cocomero

Ogni tanto faccio le scoperte dell’acqua calda. Anche Cristoforo Colombo ha scoperto l’America e questa stava lì già da un pezzo.

Io ad esempio ho scoperto, dopo anni di frequentazione di un locale, che il proprietario e una delle ragazze che servono ai tavoli sono i genitori della piccola Elena; cioè chi fosse la madre lo avevo capito bene, mater semper certa, ma il padre è stata una rivelazione tardiva.

Un’altra volta ero a cena con alcune amiche in un disco-ristorante che aveva come ospite il dj Albertino: alla faccia come somiglia a Linus, considero.

Bella forza, sono fratelli, è scritto su Wikipedia, mica un segreto di stato.

Adesso scopro che il grande Cocomero non è il titolo di un film; o meglio: il film ha preso spunto dal mito del grande Cocomero dei Peanuts, un personaggio immaginario che nella notte di Halloween sorge nell’orto di cocomeri che giudica più sincero e porta i regali ai bambini di tutto il mondo.

Che poi nella versione originale non sono cocomeri ma zucche, ma che ne sapevamo noi italiani delle zucche e di Halloween al tempo in cui sono state disegnate le strisce dei Bagigi?

Italiani pizza spaghetti mandolino e una cucurbitacea vale l’altra!

Halloween è il periodo dell’anno in cui torna l’ora solare, le giornate si accorciano terribilmente. È un caposaldo nel ciclo dell’anno e nell’avvicendarsi delle stagioni, e come tale merita di essere celebrato; chi sceglie il Capodanno, chi il primo giorno di primavera, chi l’inizio dell’anno scolastico.

Linus ha scelto Halloween: si piazza nell’orto confidando che sia il più sincero e attende Lui. Immancabilmente rimane deluso.

Certo che a stilare la graduatoria degli orti, o delle zucche, o dei cocomeri sinceri ci vuole fantasia.

Ma è solo un pretesto, come il lunedì per la dieta, o settembre per la palestra.

Io ad esempio ogni giorno quando faccio rientro dal lavoro e vado a riprendere le bimbe mi attendo di trovarle festose, serene, tranquille.

A modo loro lo sono, ma dopo tre minuti delle loro guerriglie, dei loro dispetti, dei loro strilli mi rendo conto che anche per quella sera il grande Cocomero ha scelto un orto più sincero del mio.

#aedidigitali

#ilgrandecocomero

Fai bei sogni

Due lustri generosi sono trascorsi da quando Luca non lavora più alla Midal, più di 10 anni che non vede Arianna tutti i giorni.

Non ci sono più quegli intensi buongiorno, la pausa caffè insieme, lo scambio di occhiate nei corridoi.

Nemmeno Arianna lavora più in quell’azienda, e la loro relazione inappropriata si era dissolta già nel giro di qualche mese, dopo lo scambio arido di poche email di circostanza.

La loro attrazione puramente fisica non aveva trovato l’energia per sopravvivere alla distanza quotidiana.

Poco avevano da dirsi finché trascorrevano gran parte della giornata insieme, niente dopo il distacco.

Frequentano ambienti diversi e scarse sono le probabilità di incontrarsi per caso.

Luca ha rimosso anche ogni contatto dai social network e cancellato il numero di Arianna dalla rubrica.

Nonostante tutto qualche notte ancora Arianna gli torna a fare visita nei sogni; la trova seduta dietro al bancone di un bar con il suo compagno, o nel tavolo del ristorante a fianco al suo, o al centro commerciale a fare la spesa.

Una volta è addirittura scesa dall’auto che aveva accidentalmente tamponato.

Qualunque sia la situazione, l’espressione di Arianna è invariabile: assente, con lo sguardo diretto oltre, non lo fila di pezza.

Queste presenze incorporee disturbano assai la giornata seguente, che Luca trascorre a ripensare al sogno, cercando di interpretare cosa il suo subconscio cerchi di comunicargli.

Se almeno fossero sogni a sfondo erotico lo accetterebbe, ma così è un disturbo bello e buono.

Decide pertanto di rivolgersi alla Sdream, esperti in interferenze oniriche.

Telefona per un appuntamento che gli fissano al pomeriggio successivo.

Gli studi della Sdream si trovano al terzo piano di un vecchio palazzo nel centro storico della città.

Dopo la ricerca di un parcheggio non troppo distante, Luca raggiunge l’edificio; sceglie di non avvalersi dell’ascensore e preferisce la scala, angusta e polverosa.

Quando arriva al portone di ingresso, in lieve affanno, un’avvenente receptionist gli apre e lo fa accomodare.

“Deve essere la stessa che mi ha fissato l’appuntamento al telefono” considera.

Dopo una breve attesa il dottor Pesadillo esce dal suo studio accompagnando il cliente precedente e accoglie Luca con calore.

Ad alcune domande volte ad approfondire la conoscenza segue la presentazione del catalogo completo delle offerte della Sdream:

“Vede signor Borsini” gli dice chiamandolo per cognome “la sua esigenza è piuttosto comune.

I pensieri diurni sono affrontabili, con la razionalità e il buon senso; ma quelli notturni ci colgono disarmati, inermi, indifesi.

I nostri retini cefalici, indossati la sera prima di appoggiare la testa sul cuscino, sono in grado di catturare tutte le presenze oniriche indesiderate. Funzionano come una sorta di antispam: se i suoi gangli si attivano secondo un determinato flusso, gli elettrodi neutralizzano il passaggio di quegli impulsi, impedendo ad argomenti selezionati di formare pensieri notturni”.

Continua Pesadillo:

“Lei ci dovrà fornire le parole chiave per attivare questo antispam: amori irrisolti, amicizie interrotte, professori esigenti che l’hanno tartassata quando andava a scuola, situazioni di pericolo che teme maggiormente. In base alle sue preferenze e alla sua conformazione cranica noi calibreremo la sua personale Sdream-cap e ogni #fantasma del suo passato o timore ancestrale ne rimarrà intrappolato tra le maglie. Al mattino successivo sarà sufficiente risciacquare la cuffietta sotto l’acqua corrente e tutti i suoi peggiori incubi finiranno giù per lo scarico.

Il pacchetto base include le persone scomparse e il ritardo agli appuntamenti importanti; l’opzione esame di maturità la vendiamo bene, sono in tanti a temere di doverla sostenere nuovamente; il suo cruccio maggiore qual è?”

“Arianna” risponde Luca conciso.

“Per i soggetti specifici, che non ricadono nelle definizioni comuni di ex, fidanzata o moglie che sia, avremo bisogno di una messa a punto più raffinata, pertanto i costi subiranno un lieve rincaro.

Ci dovrà portare una foto della sua generica ossessione, perché il filtro in questo caso si basa sull’immagine: tanto migliore sarà la risoluzione, tanto più preciso sarà il blocco. Possiede qualche foto di questa Arianna?”

“Sì” risponde Luca, passando in rassegna mentale dove può aver archiviato la foto dell’ultima cena aziendale a cui avevano partecipato entrambi “ma non è molto recente”.

Pesadillo lo scruta con aria paterna, e dopo un breve silenzio sospira: “Allora Borsini… Vede… è contro i miei interessi ma…”

Fa una nuova pausa, inspira profondamente un paio di volte e poi spiega:

“Se lei già da molto tempo questa Arianna non la vede più, credo che l’investimento migliore sia quello di attendere. Perché prima o poi le capiterà di ritrovarla veramente, intendo in carne ed ossa e non solo nei sogni. Negli anni che sono trascorsi la persona è cambiata, questo è inevitabile, così come anche lei ha qualche chilo in più e qualche capello in meno, immagino che se ne renda conto. Capiterà che se la trova veramente di fianco al banco degli affettati, e in un nano secondo tutta il suo affannoso rimpianto si trasformerà in incredulità: si chiederà se veramente era infatuato di questa donna, con quel viso segnato dall’insonnia e le spalle più curve dell’ultima volta che l’ha vista. E vedrà che magicamente si asterrà dal presentarsi più in sogno. Poi ritorni qui che vediamo di mappare quelli che sono i veri incubi. Questi in fin dei conti sono bei sogni”.

Questo racconto partecipa per #aedidigitali al tema #fantasmi prescelto per la settimana

Ritmi latini di altri tempi

Non guardo la televisione, ma non è anticonformismo, semplice fase della vita.
Sono cresciuta a pane e BimBumBam, il simpatico contenitore pomeridiano per cartoni animati, capeggiato dal pupazzo Uan. Lo guardavo mentre ero dalla nonna, chè i miei genitori lavoravano tutto il giorno.
A casa la sera si guardava poca tv ma SuperGulp, che piaceva anche a loro, era imperdibile; per il resto non c’erano tante discussioni, non avevo facoltà di scegliere io i programmi serali.
Così quando mi sono sposata ho ripreso possesso del telecomando, fino a che non sono nate le bimbe.
Ogni sera c’era Enrico Papi con Sarabanda, il lunedì tardi facevano Zelig e l’estate veniva scandita dalle tappe del FestivalBar, che si concludeva a settembre all’Arena di Verona. Non era tanto la gara canora a coinvolgere il pubblico, quanto la possibilità di vedere esibirsi i cantanti del momento. Bei ricordi.
Al mio rientro dal lavoro ogni sera trovavo ad attendermi Gerry Scotti e le letterine, Ullalla-ullalla-ullalla-là / Passaparola / Noi siamo qua.

Mi piaceva immedesimarmi nel gioco finale, cercavo di rispondere tempestivamente ad ogni domanda di cui si sapeva la lettera iniziale della risposta, una per ogni simbolo dell’alfabeto. 

Quando il concorrente non la conosceva poteva saltare la risposta per darla al giro successivo, se avanzava del tempo. La parola magica per procedere era appunto Passaparola.

Il particolare della trasmissione che porto ancora vivo nella memoria è lo stacchetto sulle note di una canzone della mosca tze tze:

“Yo romperé tus fotos / Yo quemaré tus cartas / Para no verte más”
traducibile in 

“straccerò le tue foto / brucerò le tue lettere / per non vederti più”.

Sulla prima frase riportata la letterina di turno (o Alessia Fabiani, o Ilary Blasi, o Silvia Toffanin…) faceva una mossa come se stesse affettandosi l’avambraccio con la mano opposta, che io riconducevo al tagliare a pezzi le foto della persona da non vedere.

Non erano ancora i tempi delle canzoni spagnole monopolio dell’estate: Alvaro Soler forse andava alla scuola materna, Enrique Iglesias non soffriva al corazon, Luis Fonsi era nei pensieri della sua mamma.

La canzone mi prendeva molto e quel particolare di affettare le fotografie come una soppressa mi sembrava suggestivo come una macumba da praticare a chi non si desiderava rivedere mai più.

——————————————————————-
Questo pezzo partecipa per gli #aedidigitali al tema della settimana #passa-la-parola.

Ricetta di una canzone d’estate!

Disclaimer: a me l’estate piace! So che non è così per tutti, ma abbiate pazienza, a furor di popolo in genere è apprezzata, se avrete voglia di leggere ve lo dimostro.

L’estate è la stagione più calda dell’anno e alle nostre latitudini, in contrapposizione con inverni rigidi, è vissuta come una benedizione (o come una condanna per alcuni).

L’estate è il periodo in cui chiudono le scuole, si sospendono le attività, si va in vacanza.

Ci sono alcuni luoghi comuni che imperano nella musica italiana; nei testi delle canzoni possiamo trovare alcuni motivi fondamentali legati all’estate, che ritornano tra un brano e l’altro, trasversalmente nel genere e nel tempo.
Ricetta per una canzone sull’estate:

  • 100 gr di desiderabilità, perché si Cerca l’estate tutto l’anno
  • 100 gr di improvvisazione, e all’improvviso eccola qua; Ritorna senza avvisare
  • Una dose massiccia di ciclicità: E ancora un’altra estate arriverà, L’estate è tornata e chiede di te; Un anno è già passato / La spiaggia si è ristretta ancora un metro / Ricordo di un futuro già vissuto da qualcuno, Torneranno i cinema all’aperto e i riti dell’estate, È il solito rituale
  • Versare tutto in un contenitore per vacanze balneare (no, canzoni per le vacanze in montagna non ne ho trovate): Giuni Russo quest’estate vuole divertirsi per le vacanze; Max Gazzè va al mare voi che fate?; J-Ax si tuffa nel mare nazionalpopolare; Raphael Gualazzi ha voglia di cantare, di gridare, di ballare in riva al mare;
  • Aggiungere un nuovo amore, ingrediente fondamentale: puó essere il campionato di calcio Un’estate / Un’avventura in più; oppure un amore classico come quello di Alex Britti Forse è l’estate o forse è pazzia ma so che stanotte diventerai mia; anche la Bertè riconosce Nuove avventure, discoteche iluminate piene di bugie.

Avevo un collega, alcuni anni fa, che inseriva a questo punto della ricetta una variante: diceva che la morosa è bello averla d’inverno, quando non sai come riempire i fine settimana e allora ti può anche star bene di rimanere a casa, sul divano, a guardare un film. Però d’estate no, d’estate è bello essere liberi di uscire con gli amici e divertirsi.

  • In estate le giornate si allungano e la notte, che si restringe e regala temperature più miti, acquista maggiore importanza: per le Vibrazioni è emblema di un’intera storia stringimi ancora come quella volta in spiaggia con la luna in una notte d’estate; alla bella d’estate di Mango basterebbe tornare fin qui / Come onde di notte sulla spiaggia.
  • Un pizzico di vento non manca mai: Prima che il vento porti via tutto a Jovanotti, questo vento Agita anche Loredana Bertè, o il generico Vento d’estate di Niccoló Fabi.
  • Non dimenticare di amalgamare la fugacità: somiglia a un gioco, è stupenda ma dura poco; sta finendo e un anno se ne va; porta via con sé, anche il meglio delle favole; in spiaggia di ombrelloni non ce ne sono più; i Negramaro auspicano che potesse non finire mai.

A questo punto l’impasto è pronto, gli amori estivi sono destinati a concludersi insieme con la fine della stagione più calda: La mia strada della vacanza, segnerà la tua lontananza; è il solito rituale / ma ora manchi tu; Bella d’estate vai via da me.

La cottura è completa quando si ritorna alla normalità con un sentimento misto di malinconia e gioia: Un’estate fa che mi regalerà un autunno malinconico; e che settembre ci porti una strana felicità; Eppure non partiamo mai, ci allontaniamo solo un po’ / Davanti il tuo ritorno alla normalità.

Gustare il periodo di stacco goduto prima di  iniziare un nuovo percorso di crescita:
Sto diventando grande, lo sai che non mi va; Diamo alla vita un’ora perché al ritorno sembri nuova.

(Di seguito i titoli dei brani da cui sono tratti i versi:

Tra le granite e le granate – Francesco Gabbani

Un’estate fa – Mina

L’estate addosso – Jovanotti

Un’estate al mare – Giuni Russo

Vento d’estate – Max Gazzè & Niccoló Fabi

Estate italiana – Gianna Nannini & Edoardo Bennato

L’estate di John Wayne – Raphael Gualazzi

L’estate sta finendo – Righeira

Azzurro  – Adriano Celentano

Notte di mezza estate – Alex Britti

In una notte d’estate – Le vibrazioni

Bella d’estate – Mango

Estate – Negramaro

Il mare d’inverno – Loredana Bertè

Lento veloce – Tiziano Ferro

Vorrei ma non posto – J-Ax).

——————————————————————-
Con questo pezzo partecipo al tema #estate per la settimana proposto dagli #aedidigitali

A quel paese 

Un tornado mi ci ha condotta: un ciclone di eventi della vita, una spirale dalla forza crescente che ha stravolto la mia routine.

Fino ad appena 5 anni fa di questo comune a cinque miglia dalla mia città conoscevo solo la pizzeria, quella che adesso nemmeno si trova più lì.

Mi era capitato di venirci alcune volte per mangiare, per il resto lo confondevo con quello situato dal lato opposto lungo la statale che conduce a nord-est.

Per me, nata e cresciuta in una città che già di per sè metropoli non é, i comuni della prima fascia urbana avevano tutti lo stesso sapore: quello del contesto sub-urbano, dei quartieri residenziali, del casolino.

Erano già una decina di anni che non abitavo più fisicamente in città, ma il luogo che avevo stabilito come residenza non era il posto in cui vivevo: per me il punto di ritorno era sempre là, dove ero nata e cresciuta.

Ci andavo quasi tutti i giorni: a trovare i miei genitori, a salutare la nonna, dopo il lavoro.

Poi una nuvola all’orizzonte: la salute della nonna ormai 90enne ha iniziato a vacillare, e in poco tempo si è spenta.

Succede, è nell’ordine naturale degli eventi.

Subito dopo anche la salute dei miei genitori ha iniziato a vacillare, quasi contemporaneamente per i due. I miei spostamenti da casa (dove abitavo) verso casa (natale) si sono infittiti, è come se io in quel periodo avessi avuto due dimore, quella di residenza e quella natìa.

Poi un fuoco d’artificio: la dipartita di papà, la nascita di Sofia e subito dopo l’addio a mamma. E nello stesso periodo la perdita del lavoro, la ricerca strenua di uno nuovo, un ulteriore cambiamento professionale frutto di una precisa scelta. In mezzo a questi eventi anche l’alluvione che dalla casa natale si è portata via tutto; quindi il trasloco di nuovo in città, di nuovo a casa dei miei.

Forse in poche righe sembra tutto più semplice, più compatto, più veloce, ma per me è stato come essere travolta da un ciclone.

Nella lista delle cause di stress lutti, traslochi, nascita dei figli, perdita del lavoro occupano posizioni importanti: io le ho vissute tutte insieme, un en-plein, la tombola delle fatiche della vita.

Per ragioni pratiche decidiamo di trasferirci in uno di quei paesi che non avevo mai considerato.

Non sono pervenuta qui con un atterraggio di quelli che meritano gli applausi dei passeggeri sui charter, ma ci sono stata catapultata, sparata.

Così il mio arrivo in un paese a me nuovo, dove tutti si conoscono da 7 generazioni e dove io non conosco nessuno. Sono stordita dagli eventi precedenti, non so bene chi sono, dove vado, cosa faccio.

Il paese è un piccolo centro abitato, un comune a pochi chilometri dal capoluogo, dove tutto è a portata: il mini market essenziale ma fornito come un ipermercato, le scuole dell’infanzia e dell’obbligo, la gelateria (esercizio commerciale fondamentale nella mia ottica), il municipio.

La mia conoscenza della geografia locale inizia con il jogging mattutino attraverso i quartieri residenziali, ordinatissimi, quasi pettinati e lungo l’argine del fiume.

Iscrivo Sofia alla scuola materna, un po’ alla volta i volti degli altri genitori mi rimangono impressi, mi ritornano familiari.

La pro-loco organizza numerosi eventi: il palio delle contrade, la festa della befana, la sfilata delle maschere a carnevale, la dolce questua di Halloween.

Gli abitanti della via istituiscono la cena annuale prendendo spunto dalla data che alla via dà il nome, e diventa una bella festa, un appuntamento fisso di inizio estate.

Il mercato rionale da cui mi rifornisco di frutta e verdura mi attende ogni sabato e sa già cosa comprerò; il camioncino del pesce il giovedì sera si ricorda che io non prendo il fritto ma il fresco; tante persone che iniziano a diventare volti noti, persone che mi conoscono e mi salutano, appuntamenti che si ripetono.

A poco a poco scopro che alcuni abitanti del posto sono arrivati solo pochi anni prima di me: riscopro vecchie conoscenze dai tempi dell’asilo o dal primo posto di lavoro.

Nel giro di pochi anni, pur essendo sempre straniera, mi ritrovo a non sentire più quella forza centripeta che la città esercitava su di me, e mi ritrovo qui, a quel paese che mi contiene come una guaina modellante, che a volte lo sento stretto ma mi dà delle certezze, mi fa sentire parte di un sistema, mi regala un po’ di stabilità, mi fa sentire di nuovo a casa mia.

– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – 

Stephen King in On Writing suggerisce di scrivere con la porta chiusa e rileggere con la porta aperta: grazie al tema #paeseditutti proposto da #aedidigitali per questa settimana sono riuscita, dopo un anno di incubazione, a chiudere la porta e sviluppare questo.