Ogni lingua ha le sue meraviglie: anche i regionalismi. Anzi quelli, arrivando dal popolo, sono particolarmente vivaci.
Non mi piace fare la site map del blog ma, sull’onda di numerosi altri esempi, voglio iniziare a raccontare le parole di Vicenza e dintorni.
La parola che inaugura questa rubrica è Ceste.
Ceste non è un termine dialettale, ma assolutamente italiano, e definisce dei contenitori di paglia o vimini.
Regionale, anzi specificatamente vicentina, è la sua accezione come esclamazione che esprime disinteresse misto a rassegnazione.
Esempio:
‘Volevo andare al cinema ma al botteghino non sono riuscito a comprare il biglietto, erano esauriti i posti. E quindi ceste’.
Alcuni aggiungono anche il complemento oggetto ‘Ceste il cinema’.
L’espressione sfuma parecchio il rammarico che si prova, perché non esprime nessun connotato, positivo o negativo, alla rinuncia.
– ‘Prendo la pizza con la mozzarella di bufala e la salsiccia’
– ‘Ma non eri a dieta?’
– ‘Ceste (la dieta)’
Oppure:
– ‘Domani c’è la riunione del condominio, ma siamo anche invitati a cena’
– ‘beh … ceste’
(il condominio, o la cena se gli amici non sono particolarmente simpatici).
È assolutamente equivalente a fanculo o al ‘Molto interessante’ di Rovazzi (= il gran ca… che me ne frega), ma non è assolutamente volgare, solo un po’ menefreghista. È un termine precursore del ciaone, ma non ha violentato nessuna parola della lingua italiana.
Non esiste documentazione sull’etimologia dell’esclamazione, pertanto formulo le mie personali ipotesi.
Trattandosi di un contenitore la cesta è un vuoto a perdere, che una volta utilizzato il contenuto può essere riusato ma comunque è privo di valore suo intrinseco.
Così ceste è qualcosa di poco conto.
È qualcosa di molto simile allo ‘stica’ (che però al nord viene erroneamente usato per esprimere meraviglia): e forse da stica a cesti / ceste il passo è stato breve.
E se ritenete che io abbia detto corbellerie… CESTE!