Il luna park non mi entusiasma, soffro i vuoti d’aria e i giri vorticosi, piuttosto che una gita a Gardaland meglio una tranquilla passeggiata.
Ma la giostra affascina, soprattutto i più piccoli. E fu così che mi ritrovo a Leolandia, nella convinzione che si tratti di un parco divertimenti tranquillo, a misura di bambino.
Le attrazioni sono effettivamente adatte ai piccoli, resta che io soffro i vuoti.
Mi metto in fila con entrambe le figlie per salire sui tronchi, una giostra tipo montagna russa che alla fine della caduta solleva un mare di sprizzi.
Chiamiamola collina russa, che rende più l’idea.
Mentre mi trovo in fila per l’attesa alcuni megaschermi intrattengono gli utenti con messaggi apocalittici: sconsigliano di salire a chi ha problemi di cuore, di schiena e anche agli ultra cinquantenni, tanto per tenersi cauti.
Ripeto per chi si fosse sintonizzato solo a questa riga che non si tratta di un bunjee jumping, ma di una versione hard del bruco mela.
Leggo con un po’ di apprensione gli avvertimenti e la figlia più piccola che teme i vuoti tanto quanto me, inizia a dire che lei non vuole più salire; l’altra non ci pensa nemmeno ad aver atteso tutto quel tempo per niente.
Mi guardo attorno, é pieno di bambini. I due nonni dietro di me cercano di dissimulare il violato limite di età, mentre io considero che mi resta poco tempo per salire senza infrangere le regole, meglio approfittarne.
E così, tra il serio e il faceto, arriva l’attimo che saliamo sul tronco: nemmeno si ferma, saliamo al volo.
Abbraccio la piccola, le dico di tenersi forte, che la nostra vettura scenderà super veloce, ma proprio per questo tutto durerà molto poco.
Piagnucola, voglio che vada piano ripete, come se la velocità di caduta dipendesse da me.
Tieniti forte, e grida ancor più forte, le suggerisco.
La navetta viene issata da una cremagliera su una prima salita. Si avverte tutta la forza della gravità che ci tratterrebbe alla base.
Piange, saliamo, la incoraggio.
La navetta scollina, per un istante siamo orizzontali.
La navetta non si era fermata alla salita, figuriamoci se ci lascia tregua ora…!
È un attimo: la navetta scende a velocità elevata e in pochi secondi siamo giù, inondate di spruzzi. Quel tuffo al cuore che si prova nel vuoto è durato un niente, ma il cuore sta battendo fortissimo, il mio e anche il suo, lo sento con la mano che la cinge.
Era solo una discesa di prova, un’altra, più alta, ci attende a pochi metri di binario.
Abbiamo assaggiato la sensazione, ora andiamo a provarla tutta, ad impregnarci di ebbrezza.
Il cuore non smette di battere (e ci mancherebbe), va sempre più forte.
La navetta inesorabile aggancia un’altra salita, più alta, che prelude ad una discesa più impegnativa.
Nemmeno il tempo di protestare, siamo già in arrampicata, la vetta si avvicina con la fatica della cremagliera che ci issa.
Di nuovo il culmine, di nuovo la tangente orizzontale, di nuovo il vuoto sotto di noi.
Sembra non finire mai, la figlia coraggiosa seduta davanti guarda il paesaggio e grida, io racchiudo la piccola come in un bozzolo, trattengo le urla per non assordarla e non impaurirla ulteriormente.
Altra inondazione, altri spruzzi tutto intorno.
È finita, la navetta prosegue per qualche decina di metri e rallenta per consentirci di scendere.
L’adrenalina è alle nuvole, dove erano arrivati gli schizzi d’acqua.
Lo stato d’animo dell’attesa sembra evaporato, ora solo voglia di ridere e di consolare la piccolina, che reclama non è giusto, andava troppo veloce nella seconda discesa. Sottolineo la seconda.
Chi non ha mai disputato una gara e non si immagina l’evoluzione dei sensi dagli istanti che precedono la performance a come ci si sente dopo, può farsene un’idea da qui: sul blocco di partenza, al momento del via, è esattamente come essere sul cucuzzolo che precede la discesa.
Fate mente locale all’ultima volta che siete saliti su una montagna russa: a cosa stavate pensando giusto un attimo prima di precipitare? Al programma che davano in tv la sera prima? Alla battuta stronza del collega? Al rincaro dell’energia elettrica? Nulla di tutto ciò. La mente, in quell’istante, esclude tutto il resto.
Tutto, non si fa altro che pensare al via, all’inizio della caduta, all’inesorabilità di quell’istante, a quanto si è impotenti davanti a una situazione alla quale siamo presenti ma non possiamo nulla.
Ormai siamo parte di un sistema, particelle senza autonomia, eppure è per volontà nostra che siamo finiti lì.
Un pensiero fisso con il vuoto attorno.
E il prima? Come la prechiamata, quell’alternanza di posso ancora decidere, chi me l’ha fatto fare? Scherzi, battute, ripensamenti, fifa blu.
E il dopo? Uguale: euforia, lo voglio rifare.