L’ultima prima volta

Per tutte le cose c’è una prima volta: i primi passi, le prime parole, il primo giorno di scuola.
Ma anche il primo bacio, il primo lavoro, la prima sbornia.
Qual è il primo film che abbiamo visto al cinema? La prima volta che abbiamo sciato? La prima volta che abbiamo incontrato quella persona?

La prima sera in discoteca? Il primo concerto? La prima notte fuori di casa? Il primo viaggio da soli? Il primo aereo che abbiamo preso?

Qualcuna ce la ricordiamo per noi stessi, qualcuna la viviamo in seconda persona, osservando i figli, perché la nostra è troppo remota.
Non posso ricordare quando ho mosso i miei primi passi, ma ricordo bene quando hanno iniziato a camminare Sofia e Viola.
Non ricordo le mie prime parole, e ricordo a stento le loro.
Ricordo bene quando ho iniziato a pedalare senza le rotelle alla bicicletta, e l’ho rivissuto con la stessa emozione quando a non dover più sorreggere la bici da dietro ero io, non mio nonno.
A guidare l’auto ho imparato da privatista, con mio papà abbarbicato alla maniglia lato passeggero con entrambe le mani, la sigaretta in bocca e i piedi che cercavano il pedale del freno dove non c’era.
Ho vissuto come una liberazione il giorno dell’esame di pratica: qualunque esaminatore sarebbe stato più rilassato e, nella peggiore delle ipotesi, mi avrebbe bocciata. Mio papà invece me lo riportavo a casa ed avrebbe ripetuto altre mille volte cosa avevo sbagliato.
La prima guida da sola l’ho fatta verso l’ufficio postale, pochi km che mi sono sembrati impegnativi come la Parigi – Dakar più che altro per l’ansia che mi aveva trasmesso chi mi aspettava a casa.
Avere un familiare come insegnante crea un rapporto squilibrato, ed è il motivo per cui non ho insegnato alle mie figlie a nuotare.
Viola, suo malgrado, si è ritrovata Sofia come maestra, perché a loro piace giocare ‘alla scuola’. Fatto sta che, Rottenmeier scansati, avere Sofia come maestra è peggio che avere mio papà sul sedile di fianco.
Eppure questo gioco dei ruoli se lo sentono proprio, a loro piace e lo fanno spesso.
Col risultato che Viola ha imparato, a 4 anni e mezzo, a distinguere le lettere.
A leggere? No, solo a distinguere le lettere.
Firma i suoi disegni col nome perché sa che quelle sono le lettere che lo compongono.
Copia le cose che trova scritte in giro, senza capirne esattamente il senso.
Qualche sera fa ha preso in mano una vaschetta di Philadelphia, la crema spalmabile.
Ha guardato con diffidenza i caratteri cubitali, non capiva la P e la H vicine.
Poi, una dopo l’altra, ha scandito le lettere
F-O-R-M-A-G-G-I-O    F-R-E-S-C-O
La sua prima lettura.

Speciale San Valentino

L’inverno sta per concludersi, il vento ha spazzato via tutte le nubi, il sole timidamente si ripropone gagliardo: lì, al suo posto, con quei raggi fissi ed intensi, sembra ricordarti che lui c’è, c’è sempre stato, e ti sta aspettando.

Il cielo terso, la settimana volge al termine, tutto fila per il verso giusto.

No, non proprio tutto tutto, ma un motore che fa qualche bizza che mai sarà?

Il meccanico, consultato di prima mattina, tra il cinguettare degli uccellini e la temperatura dell’aria che spinge in su, mi rassicura:

“Ordino il pezzo, ci sentiamo nei prossimi giorni, intanto vai.”

Vai, e vai… allo stop mi si crea una piccola colonna dietro, forse pensano che io non sappia guidare, ma portano pazienza, finché lo spunto mi consente l’inserimento in carreggiata.

L’ottimismo è il profumo della vita, Gianni.

Sono sicura che appena potrò aumentare un po’ il passo queste incertezze nella marcia si scioglieranno, come la neve al sole di primavera.

Ed è così che appena varcato il telepass, l’unico effetto meteorologico che riproduco è la nebbia: una fumata bianca che pare sia stato eletto un nuovo Papa.

Procedo ai 10 km/h per un bel tratto, poi – galeotto fu il viadotto – la fumata bianca si dissolve e al suo posto, di bianco, si alza la bandiera.

Col metodo BillGates, spegni e riaccendi, una volta funziona; ma non basta a raggiungere lo svincolo.

Ferma, in corsia di emergenza, quattro frecce, e mille camion che mi sfrecciano a lato.

Se mi lasci non vale, provo a cantare. A San Valentino poi non mi pare una buona idea; ci sono coppie che per delicatezza attendono che siano trascorse le festività natalizie, prima di chiudere. Tu, cara la mia auto, non potresti attendere un paio di km che mi levo dall’autostrada? Ti avevo anche fatto un pieno di blu Diesel, irriconoscente!

Niente, chiamo il carro attrezzi.

E qui comincia l’avventura: come si chiama il carroattrezzi? Non di certo abbassando il finestrino e chiamandolo a gran voce.

No, per chiamare il carroattrezzi, da qui in avanti ca per gli amici, si compone il numero.

Giro di telefonate per trovare il numero ‘giusto’, mica ti risponde un tizio che ti rassicura ‘arrivo subito’.

Ti risponde Svetlana, a cui fai lo spelling della targa (D come Domodossola; oh Svetlana, tu sai dove è Domodossola? J come Jugoslavia; oh Svetlana, tu sai che esisteva la Jugoslavia?).

Poi ti arriva un sms.

Poi ti arriva una notifica per la richiesta di geolocalizzazione (autostrada Valdastico, direzione Rovigo, 500 m prima dello svincolo A4: mi pareva chiaro a sufficienza, no?).

Ed ecco che dietro di me si ferma un’altra auto, bianca e azzurra, col lampeggiante blu: scende una graziosissima poliziotta, mi chiede cosa faccio.

Se le rispondo che ho pensato a un picnic in corsia di emergenza rischio l’oltraggio a pubblico ufficiale.

– Sono in panne.

– E ha chiamato soccorso?

– Si certo, sto aspettando.

– Favorisca patente, libretto e assicurazione. Lei sa dove si trova?

– Beh esattamente no, ma starà arrivando.

Rispondo con riferimento al ca.

Invece la poliziotta chiedeva se IO so dove mi trovo IO.

Devo avere un aspetto disorientato, deduco.

– Non esca dall’auto, aspetti qua ferma!

Ora che mi ha dato istruzioni precise mi sento più tranquilla.

Passano minuti eterni come settimane di gennaio, il collega della poliziotta carina viene a bussare al finestrino:

– Ma quando arriva il ca?

Mi sorge il dubbio che pensino mi diverta e per questo ritardo l’intervento; ritelefono a Svetlana, che mi risponde un po’ scocciata: sono trascorsi appena 20 minuti, devo avere pazienza!

Finalmente appare lui, il ca: mi parcheggia davanti ed abbassa la pedana. Scende il tizio che lo manovra: mi ricorda molto un ex collega, soprannominato Husqvarna per la forte somiglianza con un taglialegna: berrettino, barba, buonumore. Il mio 3B.

Si procura il gancio dal bagagliaio e mi dice di assecondare col volante la salita sul suo mezzo. Issa l’auto e poi mi chiede: vuole scendere o resta su?

Sbircio dalla mia seduta alta, vedo solo camion in arrivo e un dislivello di più di un metro: rispondo come se mi avesse proposto il bunjee jumping che almeno fino al casello resto su.

Si ferma un paio di km dopo, appena prima della sbarra, mi chiede il casello a cui avevo fatto ingresso, per non incasinare il telepass.

Poi mi ripete:

“Adesso scende?”

E non è proprio una domanda, non concede riposte alternative.

Raccolgo tutte le mie cose ed esco dall’abitacolo, sulla piattaforma.

“Ma devo saltare giù?”

“Se vuole la prendo in braccio, purché pesi meno di 100 kg”

Ok mi ha convinta, anche se peso un po’ meno: balzo giù e finisco accovacciata.

Una volta a bordo concordiamo la destinazione da raggiungere; poi inizia la diagnosi, secondo lui è la turbina, ne è quasi certo.

Prosegue con la narrazione del suo lavoro, che la volante la vede spesso su quel tratto, fanno la spola, una volta sono rimasti in panne anche loro; lui mi aveva già vista stamattina, con quel fumo bianco che usciva dallo scarico, sapeva che lo avrebbero contattato, tempo di fare rifornimento e mi avrebbe raggiunta.

Mi porta fino all’officina, scarica l’auto e mi conferma la diagnosi: passa un dito sullo scarico, lo dimostra unto, lo ripulisce sull’asfalto.

Conclude serafico “è la turbina, senti che odor de costesina*”.

E odorando forzatamente se ne va, allegro come era arrivato.

* costesina: costina di maiale cotta alla brace, emana un tipico odore di carne grigliata

Scoperte sensazionali

UDITE UDITE!!!

Ho avuto la rivelazione di uno dei misteri più impenetrabili che affliggono l’umanità:

IL FENOMENO DEI CALZINI SPAIATI

ebbene ssiore e ssiori, i calzini ugnoli che si accumulano all’uscita della lavatrice / asciugatrice e che rimangono in attesa della loro anima gemella prima di ritornare nel cassetto o ai piedi, un po’ come Vladimiro ed Estragone in attesa di Godot o come Chuck Noland sull’isola deserta, speranzosi di ritrovare il compagno, ecco insomma questi qui

NON SONO PERSI, NO

non si sono mai infilati in qualche buco nero di antimateria dietro la macchina infernale

NO

è solo che

RULLO DI TAMBURI

loro non si riconoscono

cioè all’inizio erano uguali, stesso filato, stesso colore, stessa dimensione

poi una volta sono stati distanti durante la centrifuga, un’altra volta confinavano con maglie di colore diverso, insomma piccole esperienze difformi e loro si sono contraddistinti

sono ancora una coppia, anzi un paio come li chiamano al momento della vendita, ma non si riconoscono più, sembrano provenire da pianeti diversi

se vogliamo estendere la considerazione anche ai rapporti umani… fate voi

8 febbraio 2019 – giornata mondiale dei calzini spaiati