Attenzione, contiene spoiler.
Attenzione non è una recensione.
Attenzione è molto lungo.
Leggetelo solo se non volete andare a vedere il film Barbie (ma poi magari lo vorrete), se lo avete già visto o se non vi importa di leggere le anticipazioni.
Io lo scrivo per il piacere di poterlo poi rileggere a distanza.
Perché sono andata a vedere questo film?
La molla era scattata da un passaggio radiofonico in cui si annunciava Barbienheimer, ovvero l’uscita in contemporanea nelle sale di due film, Barbie ed Oppenheimer. Pare che molti si fossero prenotati per vederli entrambi la sera stessa della prima, per una maratona di oltre 4 ore di proiezione, roba per spettatori allenati.
Alla notizia avevo immaginato che potessimo suddividere la famiglia a metà e seguire le proiezioni in sale parallele, come già fatto lo scorso anno con Top Gun e i Minions.
In Italia però sarebbe uscito solo il film Barbie, intanto.
Quando le ragazze mi hanno chiesto di accompagnarle a vederlo mi ero immaginata un filmetto da bambine, e mi ero convinta di fare un’opera da mamma e portarle.
A supporto della richiesta mi avevano detto che per produrlo si era esaurito il colore rosa.
Poi ho iniziato a sentire diverse amiche che lo andavano a vedere o volevano andarci e mi è montata la curiosità.
L’unica delle tre che si è vestita di rosa per l’occasione comunque sono io.
Non avevo idea di cosa mi aspettasse, solo nel viaggio di andata Sofia mi aveva anticipato ciò che aveva desunto dal trailer.
Il film è ben confezionato e offre diversi livelli di lettura, adatti alle varie età.
È un film patinato, se fosse una rivista sarebbe Vogue.
Non ho colto le citazioni e i rimandi cinematografici a causa della mia ignoranza in materia.
Tutto ciò che dico sono osservazioni personali.
È gradevole da guardare: è lezioso, quasi stucchevole, un film recitato da attori ma nitido come un cartone animato.
Ci sono coreografie, balli, canti; vita da spiaggia e da discoteca, passeggiate, momenti tra amiche.
Se dovessi annoverarlo in un filone farei fatica: non è un musical, non è una commedia, non è un film di azione.
Non ci sono storie d’amore, men che meno di sesso; non ci sono combattimenti, nè battaglie epiche.
Qualche inseguimento, amicizia non saprei dire.
Direi che è un film ironico, satirico, a tratti forse demenziale.
Per certo è un film intelligente, fatto dalle donne e destinato a chi lo vuole recepire.
Ho sentito molti, per la maggior parte uomini, rifiutarsi a priori di vederlo.
Capisco poco questa presa di posizione: credo sia una forma snobismo per un film che si suppone sdolcinato, melenso o forse fintamente femminista.
Non lo è.
I dialoghi, oltre alle immagini a cui si è fermata Viola e ai quali non poteva arrivare del tutto Sofia, i dialoghi dicevo, e i commenti fuori campo, sono il pezzo forte del film.
La storia si apre sul mondo ideale di Barbieland, abitato da un numero imprecisato di barbie ed altrettanti ken.
Tutti loro non hanno altro nome proprio, si chiamano proprio tutte Barbie e tutti Ken e si salutano ciao Barbie ciao Ken.
Si scambiano reciprocamente la battuta per alcuni minuti mentre il narratore descrive la perfezione della routine quotidiana e l’incongruenza con le leggi della gravità (le barbie non scendono le scale ma si lanciano dal secondo piano della loro abitazione, trovando sotto l’auto ad accoglierle).
Due di questi elementi, una barbie un ken tra i mille, vengono eletti a protagonisti principali: lei è Barbie stereotipo, lui è Ken e basta (Kenough). Di Alan c’è un solo esemplare, e forse e anche di troppo.
Il Ken prescelto è interpretato da Ryan Gosling, che conciato come è uccide ogni fantasia sessuale delle spettatrici.
Le varie barbie si distinguono: c’è quella col televisore sulla schiena, quella un po’ in carne (prodotta veramente dalla Mattel: ne ho preso una per le mie figlie e mi sono stupita; soprannominata subito Barbie galoni, che in veneto significa cosce grosse), e persino una barbie in sedia a rotelle (mi domando come possa essersi ridotta così se pur lanciandosi dal secondo piano le barbie ne escono incolumi).
Nella vita perfetta di Barbie stereotipo, da qui in poi semplicemente Barbie con la B maiuscola, un giorno si insinua una crepa: l’acqua della doccia mattutina è fredda, l’uscita di casa un po’ stentata, i piedi perennemente arcuati si appiattiscono, osserva un accenno di cellulite sulle cosce, le si manifesta il pensiero che esiste la morte.
(Non credo che le mie figlie abbiano colto il problema oltre al piede piatto, ben illustrato dalle immagini, perché non sanno cosa sia la cellulite o comunque non si pongono il problema).
La community la indirizza senza dubbio alcuno a colei che di vita vera ne sa più delle altre: un tempo era anche una lei una barbie perfetta, poi le sono stati tagliati i capelli e le è stato pitturato il viso, e pur mantenendo le movenze da barbie, con la gamba tesa e la spaccata sempre pronta, si è trasformata in una specie di mostro, soprannominata barbie Stramba.
Barbie Stramba spiega che nel mondo reale ogni barbie ha un corrispondente in forma di bambola; forse la bambina che gioca con lei ha iniziato a manifestare pensieri di morte e urge correre là e risolvere la situazione.
A me barbie Stramba ha fatto morire dalle risate perché è esattamente l’incarnazione di tutte le poche bambole che ho avuto e a cui ho lavato dapprima i capelli, ritrovandomele con una scopa di saggina rovesciata in testa, e a cui ho cercato di porre rimedio con un taglio avanguardistico; in più si mixa alle miriadi di bambole delle mie figlie a cui hanno colorato coi pennarelli occhi e bocca.
Barbie Stramba indirizza Barbie al mondo reale e le suggerisce di indossare, in luogo delle scarpe col tacco, un paio di comodissime Birkenstock; orrore, lei rifiuta ma l’altra insiste.
È un dubbio amletico che vivo spesso quando si tratta di uscire: eleganza o comodità? This is the question.
Barbie quindi parte verso il mondo reale e l’amico Ken (ma sarà poi amico? Lui vorrebbe qualcosa di più ma a lei non potrebbe interessar di meno; forse lei sogna Big Jim che però nel film non è stato scritturato) la segue e la accompagna.
Attraversano l’interregno con tutti i mezzi disponibili (auto camper bicicletta astronave) e raggiungono la vita reale.
Qui si scontrano subito con le prime ostilità: percorrendo sui roller un viale incontrano degli operai in pausa pranzo che urlano apprezzamenti sul corpo di Barbie.
Lei si ferma a controbattere, dichiarando a gran voce che loro due sono privi dei genitali.
Ad altri importuni più invadenti, che le danno una manata sul culo, lei risponde con uno schiaffo, e vengono presi dalla polizia.
Rilasciati decidono di vestirsi diversamente e prendono dei nuovi abiti (ovviamente rosa) in un negozio; dovrebbero pagarli, ma nel mondo da cui provengono non esistono i soldi; non trovano soluzioni migliori che scappare. E di nuovo la polizia li cattura.
Si accorgono anche che quando bevono da un qualunque bicchiere il liquido che c’è dentro gli si rovescia addosso. Chi ha giocato almeno una volta in vita sua con le bambole troverà godibili i paralleli con la vita reale e con le incongruenze.
Mentre Barbie cerca (e trova) chi le ha fatto ‘il malocchio’, Ken prende coscienza del ruolo dell’uomo nel mondo reale, ben diverso da quello che viene riservato ai maschi a barbieland.
Tenta un riscatto della sua posizione imponendosi come medico (per esercitare la professione, nella sua idea, bastano un camice ed una penna a scatto; gli viene risposto che non funziona esattamente così, ed è una donna, di aspetto mediocre, a dirglielo). Nemmeno come bagnino lo vogliono perché, contrariamente alle apparenze di un fisico prestante, non sa nemmeno nuotare.
Barbie intanto viene intercettata dalla Mattel che vuole rispedirla nel mondo incantato dentro una scatola.
La gigantografia dei suoi polsi vincolati con le fascette bianche al supporto, lo confesso, mi ha instillato una buona dose di inquietudine: mi sono sentita io in trappola per lei, in un fotogramma ho rivissuto una costrizione a cui l’universo femminile viene sottoposto e la liberazione di Barbie è stata catartica.
Scappa Barbie per tornare a Barbieland, assieme alla ragazzina artefice della sventura e alla madre, vera responsabile del tutto; inseguita dal CdA Mattel, tutto al maschile (ma non c’è nemmeno una donna che lavora qui? chiede ad un certo punto la protagonista); anche Ken torna all’ovile, con una nuova consapevolezza.
Attraversano di nuovo l’interregno, cambiando abito per ogni mezzo di trasporto.
Ken, avviluppato in un pellicciotto fashion e molto kitch, è determinato a portare la rivoluzione a barbieland: organizza gli uomini, solleva le donne dai ruoli (mentre qualcuna esclama come è bello non dover decidere niente) e caccia Barbie dalla sua casa, che ora è diventata casa-villa-Mojo-Dojo (niente di cui sorprendersi di questi nomi: nella barbieland che sta dietro la mia cucina abbiamo casa Reshasa, casa Lislie e casa Noddle).
Lancia a Barbie tutto il guardaroba (oltre a possedere casa camper bicicletta ed astronave, barbie ha un sacco di capi di abbigliamento non strettamente necessari) dal secondo piano e costringe la sua (ormai ex) amica a trovarsi un’altra sistemazione.
Barbie stereotipo si trasforma in Barbie depressione e piange e si dispera; qui la struttura del film si rivela in tutta la sua bellezza con una voce fuori campo (quarta parete) che commenta ‘Bisognerà dire alla filmmaker che è poco credibile con un’interprete come Margot Robbie, che vengano recepite frasi come sono un cesso’.
La situazione ritorna sotto controllo, per farla breve, e nel finale Barbie sceglie di andare a vivere nel mondo reale dove, per prima cosa, ha appuntamento con la sua ginecologa.
In sala, durante la proiezione, mancava per un guasto l’aria condizionata e la mia poltrona per un altro guasto non si allungava.
Devo ritornare a vederlo perché un film così va gustato per intero!
(All’uscita c’era un gruppo di ragazzi giovani con la maglietta rosa, troppo carini, forse le nuove generazioni sono più libere da preconcetti.)