Teresa Ciabatti entra nei 12 finalisti del premio Strega 2017 con un libro intitolato ‘La più amata’, che tradotto in linguaggio corrente potrebbe essere ‘La cocca di papà’.
Non ricordo in base a quale segnalazione ho scelto questa lettura, e forse dopo aver tentato di leggere il libro vincitore del premio Strega 2016, La scuola cattolica, avrei dovuto avere delle riserve.
Invece no: lo stile è molto scorrevole, fatto di un flusso di coscienza intriso di dialoghi non introdotti dalle virgolette.
Tutto fluisce attraverso il pensiero dell’autrice senza che sia necessario specificare di volta in volta chi ha pronunciato una frase o l’altra.
Lo dico senza mezze misure: a me dover rileggere un passaggio perchè non ho compreso il significato urta i nervi, e spesso è motivo di abbandono di una lettura.
Questo non accade nemmeno una volta, piuttosto succede che si ripeta il racconto di una stessa situazione in due passaggi diversi, giusto per rinforzare il concetto.
La storia è una sorta di autobiografia, la vita dell’autrice. In realtà i riflettori sono puntati molto di più sulla vita dei suoi genitori: ora che sono morti trova il coraggio di raccontarne le vicissitudini.
Il padre di Teresa era un primario ospedaliero molto stimato ad Orbetello; la madre, anch’ella medico, proveniva da Roma.
Teresa, che ha anche un fratello gemello, Gianni, ha vissuto un’infanzia e un’adolescenza molto agiate dal punto di vista economico.
Eppure l’intero racconto è inquietante: Teresa si interroga su molti aspetti della vita professionale di suo padre, sulle sue amicizie, sui suoi viaggi, sull’appartenenza alla massoneria.
Teresa è cresciuta in un’enorme villa con piscina sull’Argentario; ogni sua richiesta veniva soddisfatta, ogni capriccio assecondato. In una prima fase sembra portare riconoscenza e stima verso suo padre, che le concedeva tutto ciò e interveniva in suo favore per aiutarla di fronte a qualsiasi evenienza.
Da un certo punto in poi, molto presto nel racconto, inizia a riportare i suoi disturbi della personalità, l’altalena ponderale, i rapporti difficoltosi di amicizia.
Ricostruendo le vicende a partire dai dettagli di cui ha memoria, e arricchendole con quelli che le sono stati raccontati nel tempo, delinea un quadro angosciante del quale è protagonista suo malgrado.
Il libro è un’analisi lucida del suo passato, e un resoconto dettagliato del rapporto tra i suoi genitori: ma per quanto dettagliato è lacunoso in molti passaggi, che lei stessa dichiara di voler colmare per arrivare a comprendere la sua stessa identità.
Il racconto mi ha coinvolta molto: è sincero, è forte ed è sviluppato in maniera lineare, senza andirivieni nel tempo che il lettore potrebbe far fatica a seguire.
Mi rimane un dubbio: è possibile essere capaci di un’autovalutazione così distaccata? Si può giudicare se stessi e la propria famiglia in maniera così obiettiva? Perchè se è si, tanto di cappello. Se invece è no, ed è tutto molto romanzato, mi sento un po’ presa in giro.