Rome swim Rome

Ho un’ora di anticipo sul treno di rientro, eppure non sono per nulla impaziente di girare la pagina finale di questa estate 2022.

Estate che mi è scivolata come sabbia tra le dita mentre a testa bassa ho continuato a provare di recuperare il disastroso tempo dei regionali.

Ho segnato l’iscrizione agli europei a maggio con un tempo di 30”50, che risaliva a febbraio 2021 e che non avevo mai più ripetuto.
Era un’iscrizione azzardata, che speravo mi ponesse al fianco di gente più forte di me che potesse darmi lo stimolo, mi facesse da lepre.

Niente, mi è andata male, sono finita in seconda batteria, quella che precede le papabili prime 10, ma in corsia centrale. Avrei potuto essere laterale tra le top 10 e invece no.

O forse non è stata sventura: a fianco da un lato una sconosciuta assente. Dall’altro colei che a Riccione, solo due mesi prima, si era presa l’argento staccandomi di nemmeno di due decimi.

Due decimi che mi erano rimasti sullo stomaco.

Migliore prestazione stagionale, prima di ieri, un 30”84, gli altri tempi tutti sopra il 31” fino ad un disastroso 31”81 (fratello minore del 32”) disputato appunto ai regionali.

Immagino che per i più parlare di decimi di secondo, addirittura di centesimi, di soglie psicologiche, di partenze reattive e arrivi decisi sia come discutere del sesso degli angeli o fare le treccine alle bambole.

Inezie, differenze minime, polvere di segatura, le cotiche del prosciutto che il salumiere leva e butta nello sfrido: un peso lordo minimo sacrificabile rispetto alla coscia intera.

Io per quel 31”81 ci ho pianto.
La rabbia e lo sconforto mi hanno tenuto compagnia per mesi.
Lo so che i problemi sono altri, che c’è il caro energia, la fame nel mondo, i bambini malati. Lo so.

Ma non posso farci nulla, quel tempo, quel risultato (e anche molti altri della stagione) mi pesava come un macigno, tanto da mettere in dubbio la sensatezza di iscrivermi al campionato europeo.

I master, a differenza dei nuotatori giovani, non hanno limite all’iscrizione, basta pagare. Per le competizioni di un certo livello esiste un tempo minimo, a portata di qualunque nuotatore di livello medio alto.

Ma appunto aveva senso investire tempo, energie e denaro in una avventura così?

Solo che gli europei proprio sotto casa sono un evento. Solo che chissenefrega del risultato, già esserci è un risultato.
Esserci significa nuotare nelle stesse vasche, nelle stesse strutture, con le stesse procedure osservate per i pro.
Pazienza che il foro italico è stato riservato agli uomini, le donne a Pietralata.

Esserci significa che il nome, la performance, il ranking, rimangono ufficiali negli archivi della LEN, la Ligue European de Natacion.

La volta precedente che avevo preso parte a un europeo era stata a Kranji nel 2007: nel 50 stile mi ero piazzata al 14 posto, avevo 15 anni di meno e avevo fatto 29”54.

Ritrovarsi all’11 posizione di partenza, prima delle escluse dalla top 10, con un tempo lungimirante di 30”50, aveva lanciato la sfida io vs me stessa.

Volevo rientrare nella top 10.
Così la boutade ‘ma si tanto è un 50’ si è trasformata in una sfida tranquilla: allenamenti seri fino a fine luglio, allenamenti ancora in vasca fino a ferragosto (compreso), allenamenti quotidiani tra le onde e le meduse da metà a fine agosto.

Poi ancora allenamenti in vasca: a casa e sul posto di gara.

La vasca di Pietralata non è suggestiva come quella del foro italico (che meraviglia la vasca interna: 50 m di lunghezza, profondità abissale, fondale in marmo, mosaici alle pareti) ma ha un enorme pregio, anzi due.

Il primo, forse legato anche allo stato di forma fisica, è di avere un’acqua leggera.
Il secondo è di avere sul fondo dei segni orizzontali intermedi.
Oltre alla classica linea nera longitudinale di mezzeria della corsia, oltre alle T che decretano la presenza del muro, da entrambi i lati, ci sono altre tre linee trasversali.

Una a metà vasca e le altre due a 15 metri dai bordi.
Una manna: la prima arriva che sei appena tuffata. La seconda non dista molto, e ti informa che sei già ai 25.
La terza è la più dura, ma la vedi. Il senso di fatica e pesantezza si acuisce ma l’occhio, quello che chiede la sua parte, la vede.

Ho parlato di soglia psicologica prima, riferendomi ai crono: stare sotto al 30”, stare sotto al 31”.
Ma anche in termini di distanza la psicologia fa la voce grossa. Quando non sei ancora ai 15 metri finali ma li vedi, e hai la percezione di essere in avvicinamento, ti sembra un po’ meno in salita.
Se poi di fianco, anzi un metro dietro, hai quella che ti ha soffiato l’argento agli italiani, allora sì che riesci a gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Partenza decisa (è stato rilevato anche lo stacco al via, 0,68; non so se sia buono, non ho riferimenti, non mi è mai capitata una misura precisa, e chissà quando si ripeterà; lo prendo per buono), arrivo di cattiveria, con la mano giusta stavolta, senza allunghi inutili.

Vittoria sulla batteria, tempo al display pari a quello di iscrizione, poi ufficializzato con 6 centesimi di più, in omaggio: 30”56.

Già va bene, poi si disputa anche la batteria finale e tirando le somme sono tra le prime 10, anzi meglio ancora: sono 8ava.

Certo che non è niente di fantasmagorico, per il podio mi ci sarebbe voluto un motorino: le prime 3 fanno tempi che non facevo nemmeno da M30 e men che meno da agonista.
Avessi anche ripetuto il mio miglior tempo di sempre, di quando avevo 10 o 15 anni di meno, non sarei potuta arrivare meglio che quarta.

Avevo consultato le start list, le avevo cercate in rete, questa è gente che non bluffa, fortissime e consce delle loro possibilità.

Ma chiudere così la categoria M45, ad un secondo da quella che ero 15 anni addietro, ad un tempo inferiore a quello con cui avevo gareggiato a Palermo nel 2018, primo anno di categoria quindi in teoria il più vantaggioso, è un bel modo di guardare avanti.

Il problema è che tutto il mio pensare al 2 settembre come obiettivo dell’estate ha spostato quello che è la realtà. Lunedì è il 5 settembre e si ritorna al lavoro.