Fase 2,5

Ho avuto un iniziale momento di rifiuto, in cui mi sono uniformata al divano.

Mi sono trasformata in runner, mio malgrado, quando essere un runner era più azzardato che arruolarsi da brigatista rosso.

Ho scoperto l’interval training: ho familiarizzato con i TABATA, gli AMRAP, gli EMOM.

Ho sperimentato i plank, gli squat, i jumping jack, lo skip nelle loro variegate forme.
Ho rivisitato il concetto di push up, che per me era solo un capo di biancheria, e scoperto che gli affondi bulgari non si vendono in gioielleria.
Sono passata a chiamare crunch gli addominali.
Ho odiato il mountain climber per poi farci pace, una volta passata alla guerra coi burpees.

Ho inspirato ed espirato al ritmo dettato dalla voce suadente dell’insegnante di pilates o di ginnastica posturale.

Ho stretto amicizie su Instagram e Facebook con i personal trainer, ho seguito le loro dirette in differita, studiato i loro video, ricercato gli esercizi su YouTube e su Wikipedia per poi poterli riprodurre senza crearmi traumi o lesioni.

Ho preso in prestito il tappetino e gli elastici a Sofia. Ho provato a variare i ritmi di lavoro e riposo per capire quali fossero più efficaci.
Efficaci per cosa? Boh, lo scopriremo, perché non so ancora bene che senso abbia avuto tutto questo.

Adesso finalmente so che presto potrò tornare semplicemente a nuotare.

Patientia nostra

Diversi anni orsono lavoravo per un’azienda che aveva tra i clienti un produttore di acqua minerale.

L’azienda cliente faceva capo ad un uomo anziano, padre di 5 figli maschi, tutti attivamente impiegati all’interno dell’azienda stessa, con mansioni differenti.
Alcuni dei figli non erano propriamente pronti ad ereditare il peso della gestione di un’impresa importante, si dedicavano ad attività collaterali e cercavano di improntare la loro esistenza su altri binari.
Uno di questi, per fare un esempio, girava i locali organizzando il karaoke.
Altri invece profondevano tutti i loro sforzi nell’ambito dell’attività familiare, con maggiori responsabilità.

Ciononostante il vecchio – di cui ricordo benissimo il cognome, ma non il nome – che chiameremo Alfredo, non si arrendeva a lasciar governare la baracca ai figli, ed era costantemente presente su tutti i fronti.
Un jolly: seguiva il lato tecnico, quello commerciale, le relazioni con i fornitori e con i clienti, girava incessantemente per lo stabilimento a sorvegliare l’andamento della produzione.

Alfredo veleggiava tra gli 80 e i 90 anni, con un’invidiabile forma fisica, che lui attribuiva alla pratica dello yoga e ovviamente ai poteri miracolosi della sua acqua.

Gli piaceva dare sfoggio delle sue abilità e doti atletiche, dimostrando di saper mantenere a lungo posizioni innaturali.
Era un uomo ciarliero e tendente al buonumore, che prendeva le situazioni dal loro lato migliore.

Gli piaceva anche sottolineare il fatto di avere ben 5 figli, e si gongolava per il fatto che fossero tutti maschi.

Il caso ha voluto che l’azienda presso la quale lavoravo io gli avesse fornito un macchinario comandato da un pc a bordo.
Un pc touch screen sul quale era stato implementato un pannello comandi.
Si badi bene, sto parlando dell’anno 2002 e sto parlando di un pc, un personal computer di tipo industriale ma basato su sistema operativo Windows.
E, lo ripeto, sto parlando di un touch screen: una tecnologia ora scontata, allora innovativa.

Il caso ha voluto anche che, per una serie di incomprensioni a livello progettuale, per l’insufficienza della fase di test, per una sequenza di eventi rispondenti alla legge di Murphy, uno di questi pulsanti presenti sul pannello operatore non funzionava a dovere.

O meglio, funzionava esattamente come gli era richiesto di fare: se premuto attiva il meccanismo, se rilasciato il meccanismo si arresta.

Solo che non era questo che si desiderava: l’obiettivo era ‘se premuto vai, se premuto nuovamente stop’.

Di fatto il funzionamento di tutto lo stabilimento era legato alla pressione di questo pulsante, pertanto serviva un cristo che schiacciasse il bottone ad oltranza. Fino a che non fossimo intervenuti, sul posto, con la modifica risolutiva.
E dato che il posto non era esattamente raggiungibile, perché collocato in una regione insulare, l’attività di emergenza – mantenere il pulsante pigiato – si prospettava a tempo non determinato.

Ora, a me è rimasto impresso il racconto dei colleghi che narravano del vecchio Alfredo nelle sue posizioni yoga a mandare avanti la baracca col dito pigiato sul bottone, a oltranza.

Quando mi domando ‘quo usque tandem’ durerà una misura insensata come quella in atto, mi viene in mente il vecchio Alfredo e la sua acqua minerale …