Sardegna 2022

Cosa riporto a casa da questa vacanza?

Rigorosamente in ordine random:

  • la sigla del tg1 delle 8,00 che riecheggia dalle finestre del vicino;
  • una cavigliera da ragazzina che ho trovato sul fondale mentre nuotavo;
  • un bel po’ di sabbia, sospinta dal vento incessante, e rimasta appiccicata agli asciugamani;
  • il monito che dentro un barattolo con la dicitura ‘zucchero’ potrebbe nascondersi altro (mamma come è salato questo the);
  • gli abitanti del centro che siedono sulla soglia di casa a fare salotto, direttamente sul ciglio della strada;
  • il sapore del sale chehaisullapelle chehaisullelabbra che dopo i primi 5 minuti di nuoto ti arriva fino in gola e hai voglia a sciacquare quando esci: non va più via;
  • che se vuoi la pasta senza formaggio devi precisarlo;
  • le seadas, il mirto, il pecorino, il pane carasau, il porcellino, i malloreddus, le sappuedas, il melone verde, l’acqua smeraldina e i tappi delle bottiglie che a Viola non piacciono;
  • il materasso del letto che pare un tagadà;
  • le visite alle miniere di Serbariu e al sito archeologico di Barumimi, la preparazione e la cortesia delle guide che ci hanno accompagnato, la totale mancanza di indicazioni stradali per raggiungere i luoghi;
  • il ballo della scopa che partiva in spiaggia appena si liberava un posto e tutti correvano a riaccaparrarsi la posizione migliore;
  • le folate improvvise che rovesciano gli ombrelloni e la gente che corre a riprenderli; noi siamo riusciti a rompere il nostro al secondo giorno: non male considerato che ci sono suppellettili in terracotta che resistono per millenni;
  • le figlie che socializzano con i coetanei (in misura diversa! ) e spariscono; poi ritornano (sempre in misura diversa);
  • l’esercente che non vuole rovinare il layout del suo plateatico e ci chiede di cambiare tavolino;
  • gli oleandri, le alghe, le meduse, l’acqua limpidissima su fondale bianco e sabbioso, un paesaggio insolitamente verde;
  • i reticoli di strade fittissimi con le auto parcheggiate ovunque;
  • la gelateria fantasma, sparita nel nulla dopo che avevo convinto il resto della famiglia ad una tappa;
  • il vento che mi pettina alla Mirko dei bee-hive e che quando si ferma rivela un caldo torrido quasi africano.

La tomba di Omero

Giuseppe, o come dicevan tutti Beppe, raccontava della sua vacanza a Mykonos, o forse era Santorini, o magari era Rodi, non fa differenza, rievocando il momento della visita alla tomba di Omero.

Erano anni che precedevano questa sventurata estate del Covid, ma probabilmente risaliamo anche a prima delle torri gemelle, non fa differenza.

Perché Giuseppe, o come dicevan tutti Beppe, si trovava sull’isola per divertirsi: far tardi nei locali, bere aperitivi al tramonto, ballare sulla spiaggia attorno ai falò. Della mitologia greca e della storia antica se ne interessava fino a quel punto, quel punto molto prossimo allo zero.

Però qualcuno, di cui lui si fidava, o forse solo che gli era parso un tipo carismatico di una birra più avanti di lui, gli aveva suggerito la visita culturale alla tomba di Omero.
Che poi vuoi mettere? Torni dalla vacanza e tutti ti credono un cazzaro e tu invece no, cali l’asso dalla manica, hai anche visitato dei luoghi di interesse storico.

Da che parte è la tomba di Omero? È su per il monte. E allora parti con lo scooter 50cc che per quella settimana è il tuo unico mezzo di trasporto.
A Beppe piaceva fare l’effetto sonoro, riferendo la sua avventura.
Meeeeeeeee meeeeeee meeee

Chi è stato in Grecia nei mesi estivi sa: sa le temperature, sa la puzza che si leva da certe aree di sosta, sa il vento, sa le condizioni delle strade.

Meeeeeeeee meeeeeee meeee

In giro non trovi mai un cane, mai uno a cui chiedere indicazioni, perché qua dopo eterni chilometri non si vede nulla, nulla di interesse ma nemmeno di poco rilievo: nulla se non sterpi e mare.

Meeeeeeeee meeeeeee meeee

Sperare che il carburante basti altrimenti tocca farla in discesa sfruttando la forza di gravità.

Meeeeeeeee meeeeeee meeee

Ad un certo punto ecco un cristiano a cui chiedere indicazioni: excuse me… Omero’s Thomb???
Anche l’inglese ti sfodera Giuseppe, o come dicevan tutti Beppe!

E quello gli fa segno di proseguire salendo, aggiungendo che la visita merita assolutamente, very nice.

Meeeeeeeee meeeeeee meeee
Ancora nulla
Meeeeeeeee meeeeeee meeee
Nulla
Meeeeeeeee meeeeeee meeee
Nulla

Mah aspetta forse … ecco…

Meeeeeeeee meeeeeee meeee

Ci siamo: Omero’s Thomb, la tomba di Omero.

Beppe a questo punto del racconto riferiva la sua profonda delusione con un “erano quattro sassi e basta, capisci? Non sapendo cosa altro fare, ci ho pisciato sopra”.

E ridiscendendo dava indicazioni entusiaste a coloro che incrociava, omero’s Tombe that way, very nice.

Meeeeee meeeee meeeee ma molto più divertito.

Cosa si aspettasse di diverso da una tomba non l’ho mai saputo.

So che ogni volta che profondo più energie a visitare un luogo del piacere che ne traggo ripenso alla tomba di Omero.

Oggi è accaduto con il Dolmen di Avola.

Chi sono i veneziani?

Venezia che muore

Venezia appoggiata sul mare

Cantava Guccini nell’81 e io interpretavo che il destino di Venezia, città poco abitabile perché appoggiata sul mare, sarebbe stato quello di scomparire sprofondando.

Seeehh, scomparire!

Venezia è una città unica al mondo, che più ce l’hai vicino e più la sottovaluti, per quel dogma che le cose le apprezzi di più quando sono fuori portata.

Altro che morta, altro che affondata: Venezia è un caos, è una calamita di turisti dal potere magnetico strabiliante.

Per i corregionali è una destinazione agevole via treno, il rapporto tempo di percorrenza / prezzo è buono: ce ne è uno ogni ora, se ci si adegua per i tempi o si accettano costi un po’ più alti, anche ogni 20 minuti.

Il bigliettaio sbaglia a stampare i biglietti ma me ne accorgo in tempo: come mai il ritorno costa meno che l’andata? Avremo il vento a favore? Ah no… me li ha fatti da Verona.

Il regionale veloce costa la metà del freccia rossa, impiega il medesimo tempo e soprattutto non è in ritardo; troviamo anche posto a sedere, deve essere un giorno fortunato!

Al capolinea si ha l’impressione, per quantità di negozi e per il via vai di gente, di trovarsi in un aeroporto più che in una stazione ferroviaria.

Una volta fuori dalla stazione basta poco per estrarsi dal flusso: basta rifiutare una delle indicazioni ‘per San Marco’ e sei subito in un girone parallelo, scevro di turisti.

Dal treno hanno ricordato l’ordinanza che fa divieto di portare la bicicletta, anche a mano. Mi chiedo chi possa inventarsi di girare Venezia in bicicletta, e se la cosa non andrebbe estesa, per buon senso, anche ai monopattini.

La giornata, dopo un forte temporale notturno, è incredibilmente estiva.

Ogni ponte è uno spettacolo da cui osservare le case, fondate sotto acqua, le barche, le rimesse delle barche (i garage dei veneziani), le gondole, lo sciabordio che segue al passaggio delle imbarcazioni, il riverbero della luce che filtra da sopra i tetti o che si scorge oltre le calli.

Chissà chi sono gli abitanti di Venezia, chissà se esistono ancora i veneziani.

Una città che attira un turismo da metropoli e che ha le infrastrutture di un borgo.

L’ospedale civile assomiglia a una chiesa, a un palazzo antico; sembra incredibile che dentro vi siano le indicazioni per il CUP o la zona prelievi o i reparti di degenza.

Divieto, in segno di doveroso rispetto verso i malati, di scattare fotografie all’interno.

Pranziamo al Paradiso perduto; un tizio sul fondo della sala sta sbucciando aglio: lo fa ininterrottamente per le due ore che rimaniamo seduti dentro.

Ci sono molti avventori; a fianco di noi una tavolata numerosa: ordinano i bigoli (estrusi al torchio) al cacio e pepe; il ragazzo che li serve rimesta con energia la pasta dentro una forma di cacio e poi col pestello sminuzza il pepe e cosparge i piatti in cui ha porzionato la pietanza.

Una parte del prezzo va riconosciuto a questo spettacolo teatrale.

Alcuni dei commensali accompagnano con il cappuccino come bevanda: non sono veneziani.

Dopo pranzo puntiamo doverosamente verso piazza San Marco, sempre seguendo un percorso alternativo.

Fa molto caldo, ogni tanto sostiamo sotto le frasche di qualche recinzione; guardi dentro e scopri una villetta col giardino.

Quanto costa una casa a Venezia? Quanto costa vivere a Venezia? Chi sono i veneziani?

Lungo una fondamenta, la banchina che costeggia un canale, dove l’ombra non c’è, incontriamo due ragazze, ma direi forse due fotomodelle, che indossano ciascuna un paio di stivali neri, di cuoio, al ginocchio; entrano in uno dei portoni, varcano la soglia protetta da una lamiera: anche se questa giornata è assolata, il problema dell’acqua alta è una costante.

In un campo più avanti troviamo una coppia di giovanissimi sposi: spostarsi a piedi il giorno delle nozze è singolare. Eppure sembrano non farci caso, nè gli sposi nè gli invitati.

(Chi sono i veneziani? Per certo gente abituata a camminare)

Mi diletto ad osservare le scarpe altrui: sembra che non tutti soffrano il male ai piedi; molte donne, con l’obiettivo di foto memorabili, sono vestite di tutto punto con i tacchi alti; altre hanno sandali aperti incuranti della sporcizia a terra; altre ancora delle fantasiose ciabatte rivestite esternamente di colorato peluche.

Dal terrazzo di un’abitazione si ode il suono di una chitarra che accompagna il canto di un uomo: è seduto nel pergolo, si dedica al suo hobby e involontariamente fa da colonna sonora a tutti quelli che passano.

(Chi sono i veneziani? Artisti di casa)

Descriverlo non basta a rendere la poesia che si spande, il senso di astrazione dal tempo e di intensificazione del luogo in cui ci si trova.

Finalmente arriviamo a piazza San Marco, affollatissima; una lunga fila per l’ingresso alla basilica, il resto sparsi per la piazza.

I piccioni, prede di Viola per i suoi attacchi spaventosi (gli fa buh e loro volano via), si aggregano attorno a chi gli dà da mangiare: un paio di fotografi li sfruttano per scattare ai turisti delle foto in cui, come San Francesco che parla agli uccelli, li accolgono sulle braccia.

Che schifo! non farei la foto col piccione nemmeno se fossero i fotografi a pagare me; ma la cosa che mi urta è che i fotografi scacciano Viola ‘ehi bambina vai via!’ ???

A che titolo?

(Chi sono i veneziani? Persone gelose del proprio territorio e della sua fauna).

Sulla via del rientro passiamo per campo santo Stefano, dove vendono il gianduiotto (che io chiamavo mattonella): un blocco di gelato alla gianduia immerso in un bicchiere di panna montata.

Nessuno del gruppo lo vuole, ma uno alla volta cambiano tutti idea: dopo quattro ordinazioni al bar ho imparato la giusta denominazione del prodotto.

(Chi sono i veneziani? Commercianti pignoli)

Un fornaio espone una botte ornamentale fuori dalla sua bottega; sopra di essa alcune lattine vuote e bottiglie schiacciate; mentre cerco il foro per gettare dentro uno scontrino accartocciato che mi sto tenendo in mano da chilometri, il negoziante da dietro il vetro si infuria e inizia a picchiare con le nocche ed inveire, perché non si tratta di un cestino, nonostante le parvenze.

(Chi sono i veneziani? Esercenti sul piede di guerra)

Per le calli si alternano negozi di generi alimentari e botteghe di alta moda, semi deserte.

Il personale di Damiani, di Louis Vuitton e delle altre boutique è gente del luogo, e ispira simpatia sentirli parlare con la tipica cadenza veneziana, fuori dall’ingresso in attesa dei clienti: riporta la città ad una dimensione più terrena.

Cronache di passi alpini

Semel in anno licet insanire, lo dicevano gli antichi romani per concedersi il carnevale, nel mio caso lo riferisco all’atto di fiducia che professo quando salgo sul sellino posteriore della moto e mi lascio portare a spasso.

Destinazione valichi alpini del circondario.

Sfatiamo subito due punti chiave:

1. nonostante fosse una bella giornata settembrina ho optato per calzini di cachemire e dolcevita in pura lana, sotto la tuta e le protezioni (e non ho avuto caldo).

2. Già dopo i primi metri mi ero ripromessa che avrei baciato la terra come il papa al termine del tour.

Fatto questo atto di fede e votata al pensiero papale, appena svoltati fuori dalla Valsugana e incominciato a salire, ho cercato di lasciarmi rapire dalle forme delle nuvole e dai colori del cielo terso.

Ai lati delle strade le vacche al pascolo, col loro campanone al collo che vibra nell’aria una sinfonia asincrona di tintinnii metallici dal suono grave.

Mi mettono allegria queste bovine, mi trasmettono serenità e pacatezza; anche quando te ne trovi davanti una che non osserva il codice della strada e attraversa fuori dalle strisce.

Su una parete erbosa interna a un tornante ho scorto un piccolo capriolo che brucava: fa strano vedere questo animale così da vicino allo stato brado.

Ogni paese montano era ospite di una manifestazione sportiva: di mountain bike, di tiro al piattello; a Cortina già gli striscioni per i mondiali di sci alpino del 2021.

A Misurina si teneva una sfilata di bici d’epoca, quelle con la ruota anteriore gigante.

A Cortina d’Ampezzo era in corso un raduno di Porsche; una di queste stazionava, perfettamente coperta con la sua mutanda, a cavallo del fossato di scolo a bordo strada. Mi è tornata in mente la canzone di Jannacci ‘ho visto un re’, vedendo i passeggeri preoccupatissimi ai lati della strada che calmavano il traffico in attesa del carro attrezzi.

Tra cortina e Misurina ci sono 17 km di distanza nello spazio, e due stagioni nel tempo: a Cortina piena estate, a Misurina inverno pieno.

La strada che collega tutte queste amene località è un continuo di curve, pendenze, tornanti e qualche breve rettilineo.

Il moto (e la moto) procede in maniera tutt’altro che rettilineo ed uniforme.

In cima al Falzarego una enorme voragine nel manto stradale, poco fuori Cortina un automobilista che faceva un’inversione di marcia naïf, occupando in modo bizzarro ed inconsulto tutta la sede stradale, e scocciandosi del fatto che altri passassero di lì.

Tremavo ad ogni mezzo che procedeva in direzione opposta alla nostra, perché spesso le nostre traiettorie sembravano trovare la via più comoda incrociandosi; ho pensato allora a Michael Shumaker: una vita a rischiare negli autodromi e poi lo stop contro un banalissimo paletto delimitatore su una pista da sci.

Rilassati Elena, il destino fa quello che gli pare.

Alla malga in cui abbiamo pranzato il cameriere che ci ha servito il caffè è riuscito a non rovesciarlo dopo un lungo minuetto fatto di allunghi di braccia a destra e sinistra per schivare il gesticolare scomposto che accompagnava il nostro dialogo; più tardi al bar di Agordo invece il ‘collega’ è stato meno fortunato e mi sono vista servire il centrifugato come un conato.

Dopo una giornata in sella e oltre 450 km il ritorno all’afa di pianura e alla terraferma sotto i piedi.

Al prossimo giro, al prossimo anno (la paura e la fatica si dimenticano, le cose belle restano in mente a lungo).

Thassos 2018 – Pillole di vacanza (parte I)

Un viaggio lungo lungo, fatto di aria, di terra e di mare.

La domanda ritmica, a cadenza regolare, dai sedili posteriori, inizia la sua mitraglietta a 3 km dalla partenza da casa: ma quanto manca?

La risposta arriva per tappe: mezz’ora a qua, un’ora a là.

Totale tra andare e sostare, oltre 12 ore.

Il fatto di salire in nave (traghetto per l’esattezza) è una novità per Viola che in quattro anni di vita aerei ne ha presi molti ma di barche ricorda solo quella che papà guidava e io andavo giù dallo scivolo.

Dopo un attimo di smarrimento un flashback rivelatore: il pattìno noleggiato nella vacanza dello scorso anno.

No Viola, una barca più grande, una barca che ci si carica l’auto.

La parte meravigliosa dell’attraversata sono i gabbiani: sfruttano la scia e rimangono in stallo, con le ali spiegate, sopra di noi, ad attendere che i turisti generosi protendano biscotti. Ogni tanto le loro ali si intrecciano, e si bisticciano un po’ coi becchi. Ogni tanto scendono per afferrare il bottino.

Dal traghetto scende una tizia con un paio di pantofole bianche di pelo che non oso immaginare come indossarle con le temperature estive; cerco di seguirle con l’occhio ma lasciano libera la visuale su un prete ortodosso super tecnologico con tanto di auricolare Bluetooth.

La meta è l’isola di Thassos, all’estremo oriente ellenico; ci ero venuta 7 lustri fa, con la famiglia, tutto il viaggio in auto, per tappe, attraversando quella che allora si chiamava Jugoslavia. La sera precedente all’ultima tappa ricordo i miei tutti eccitati per aver scoperto una nuova strada, appena tratteggiata sulla mappa. Nuova, proprio nuova, talmente nuova che era ancora da costruire.

Deve essere il tratto che abbiamo percorso una volta atterrati a Salonicco, circa 200 km; ad oggi si snodano interamente nel nulla, ma su un manto asfaltato. Allora, oltre le curve e i saliscendi c’era il manto dissestato, e in auto mancava l’aria condizionata.

Il prodotto di quel viaggio sotto il sole agostano era stato un mio malessere, rivelato a suon di conati finiti in mare direttamente dalla banchina su cui attracca il traghetto.

“Dai mamma raccontaci ancora che hai gomitato in mare”: è diventata la fiaba della buonanotte.

Altro che bambine ribelli!

I ritmi in vacanza sono completamente rivisitati: l’occupazione si articola tra scelta della spiaggia, scelta del posto dove cenare, scelta del libro da leggere.

La vita da spiaggia lascia titubanti le mie figlie, in particolare Viola che trova i lettini piuttosto difettosi: se ti metti in piedi su un lato si ribaltano.

E poi i piedi, da risciacquare a riva che poi si insabbiano sulla via del ritorno all’ombrellone, e allora torna in acqua e avanti così finché un genitore impietosito se la porta in braccio.

La vacanza è un momento di distacco dal quotidiano, dai ritmi, dalle abitudini; ci si riposa, si sta indubbiamente bene ma qualche piccolo dettaglio necessariamente manca: tra quelli che si rivelano piuttosto in fretta è l’espresso, il comunissimo caffè italiano; ho rinunciato a ordinare caffè dopo il secondo intruglio che sembrava rimestatura di fondi.

Il massimo livello di caffeina proviene da uno sbatacchiamento di nescafè, zucchero e ghiaccio che chiamano caffè frappé.

Sono dell’idea che in ogni posto bisogna adattarsi al cibo locale, ho persino osato un pyta gyros, un panino ripieno di tutto, tanto rinomato quanto banco di prova per stomaci forti.

Assenti quasi completamente gli italiani, il che significa niente mezze conversazioni captate sotto gli ombrelloni attorno a cui ricamare la rimanente metà con la fantasia.

L’arte del ricamo viene così sostituita dall’osservazione: di una tizia che rimane con le braccia sollevate in piedi a riva per donare uguale tintarella alle ascelle ed al resto del corpo; di una tizia che ha un enorme tigre tatuata tra il costato e il ginocchio, ma ne copre alcuni cm centrali con un costume che le fascia i fianchi; di un bimbo col visino molto dolce, che Viola pretende sia una femmina, fino ad arrabbiarsi, ma è inequivocabilmente un maschietto, lo si vede ad occhio nudo (nudo è il bimbo, prima ancora dell’occhio!).

A rimanermi più impresso di tutti è un uomo, un ultra ottuagenario: in un ristorante che abbiamo scelto una sera facevano musica; genere locale, dal vivo, la gente ballava in gruppo, abbracciati l’un l’altro in un cerchio aperto.

E lui ballava, teneva il ritmo, incrociava le gambe, cambiava direzione, seguiva il tempo: indossava una camicia azzurra, come un autista di un pullman di linea; le maniche rimboccate, le bretelle sulle spalle che reggevano i calzoni da cui spuntava un mazzo di chiavi: più che tranviere, custode di palazzo?

La statura minuta, le anche larghe, la testa canuta: ad ogni nuovo pezzo cambiava movimenti, infaticabile.

Mentre lui ballava, e non ha smesso per tutta la durata della nostra cena, un uomo molto più giovane ma decisamente meno aitante, riprendeva la scena. A vederlo da dove sedevo io pareva fissasse una sigaretta elettronica mantenuta a circa 50 cm dal naso, invece era uno smartphone.

Strano modo di fumare, avevo pensato in primis, ma anche riguardarsi due ore di sirtaki non mi sembra sensato.

Quando ho preparato le valigie avevo le gocce di sudore che colavano: aprire il cassetto delle magliette pesanti mi ha provocato orrore, ho infilato solo un capo per sicurezza, ad occhi chiusi… e per fortuna, perché qui, soprattutto la sera, è parecchio fresco!

L’appartamento che abbiamo affittato è spazioso e moderno, ma poco adatto a preparare anche una semplice pastasciutta: già al primo giorno ho fuso uno dei contenitori semplicemente appoggiandolo sul fuoco appena spento del fornello in vetro ceramica.

Thassos la verde, spostandosi tra le spiaggie il panorama è costante: colline verdi e mare; capre, cavalli e tanta polvere; la sera che siamo risaliti dalla cava di marmo avevomo l’auto che emanava spruzzi simili al borotalco ad ogni chiusura di portiera.

La sera dopo aver cenato i ristoranti propongono un omaggio: un ouzo o un po’ di frutta, in genere. In uno ci siamo visti servire quattro mini gelati, tipo magnum in scala ridotta. Viola ha subito scelto quello ricoperto di nero; abbiamo proposto a Sofia di scegliere prima di servircene.

No, grazie. Rifiuta.

Dai Sofia non lo vuoi? È un gelato, prendilo.

No grazie.

Insistiamo ma niente, non lo vuole.

Ci serviamo e ne lasciamo uno sul piatto, il suo.

Il gelatino è proprio buono, Sofia assaggialo.

Prima ancora che lei potesse rifiutare nuovamente interviene Viola, che ha ormai terminato il suo, ancora poca polpa attorno allo stecchino.

NON LO VUOLEEEE ribadisce in soccorso della sorella, e per sicurezza agguanta il gelato residuo, prima che Sofia possa cambiare idea.

I LOVV YO (Vicenza città bellissima)

Per la serie cose che ritenevo scontate e noiose e invece magari possono interessare, oggi parlerò della mia città, Vicenza.

‘Vicenza città bellissima’ è il titolo di un libro uscito negli anni ‘80 che parlava appunto di Vicenza; all’epoca era uno status symbol possederne una copia.

Non sono mai andata oltre la copertina, di cartone marrone, che riproduceva una litografia; sono comunque convinta che dicesse il vero: che Vicenza è bellissima.

Solo che è una delle tante cose a portata di mano, scontata, ovvia.

Hai l’ovvio, (I lovv yo), I love you.

Vicenza, nel centro del Veneto, fa un po’ da Cenerentola nella regione.

In secondo piano rispetto a Venezia, capoluogo e meraviglia unica al mondo; ma anche rispetto a Verona, città dell’Arena e di Giulietta e Romeo, e a Padova, storico centro di cultura universitaria.

Rispetto ad esse però vanta una dimensione e una struttura a misura d’uomo, senza soffrire dei limiti di Belluno, città di montagna; di Rovigo, in piena depressione polesana; o di Treviso, che è bellissima ma tagliata fuori dalla direttrice principale, la autostrada A4.

Sono nata a Vicenza e ci ho vissuto fino ai 25 anni; poi mi sono trasferita in un comune limitrofo (e poi in un altro), ma la mia città rimane sempre lei, il mio riferimento.

Vicenza sorge sulle rive del fiume Bacchiglione, che chiamare fiume come si chiamano il Po e l’Adige fa sorridere; nel 2010 quando è esondato ha fatto prendere un po’ paura, anche a me che non abitavo più lì, ma ci si trovava ancora la mia casa, e proprio lungo la sponda.

Un tempo lì vicino correva anche la roggia Seriola: un giorno una ragazza in bicicletta è scivolata dentro ed è subito riemersa con le ninfee in testa. Poi la roggia è stata deviata e il suo corso interrato.

Ma non è questa la Vicenza che volevo raccontare.

Vicenza è detta anche la città del Palladio per via di un architetto del 1500, tale Andrea (di Pietro della Gondola), che ha progettato numerose opere realizzate sul territorio.

A Vicenza il nome Palladio è utilizzato per ogni cosa: esiste il centro commerciale Palladio, il centro sportivo Palladio, il circolo tennis Palladio, esiste per certo un bar (uno solo?) Palladio, esisteva la scuola media Palladio e basta pensare ad una attività (libreria, salone di bellezza, centro medico, ferramenta, cartolibreria o che altro) che di certo il nome Palladio è già in uso.

Qualche anno fa stavamo andando a una festa, non ricordo esattamente nè di chi nè con chi; ricordo bene però che uno del gruppo non era ancora arrivato al ritrovo e aveva telefonato chiedendo di attenderlo.

“Ma dove sei?”

“Alla rotonda del Palladio” intendendo la villa Capra, aveva risposto in tono rassicurante.

“Sei sempre il solito ritardatario, arrangiati, noi partiamo!” aveva sibilato quella che aveva ricevuto la telefonata, interpretando che si trovasse alla rotatoria del centro sportivo, dall’altro lato della città.

Invece era 500 m dietro di noi.

Il cuore della città, di origini romane (Vicetia), è il decumano massimo, ora Corso Palladio, via pedonale principale dove si ‘fanno le vasche’ ovvero si passeggia avanti e indietro; è uno dei principali luoghi di conoscenza e di incontro.

Fino a qualche lustro fa il sabato pomeriggio, o la domenica, lo ripetevo avanti e indietro numerose volte; adesso con le bambine è impossibile percorrerlo tutto anche una sola volta. Già è molto se riusciamo ad arrivare in piazza delle Poste (così chiamata perchè ospita le Poste Centrali) dove si trova la fontana dei bambini.

Si tratta più di una vasca che di una vera e propria fontana, dove l’acqua ricircola in una vasca labirintica. Al centro una statua di bronzo con due bambini su un’altalena, sulle parti emerse numerosi bambini in carne ed ossa che sfidano l’equilibrio; in estate capita di vedere qualcuno che trae giovamento nell’immergere i piedi.

A Sofia piace molto perchè quando arriviamo lì le devo ripetere ogni volta la descrizione del giro che fa l’acqua: sgorga da un fiotto, si incanala in una strettoia etc. fino a raggiungere lo scarico dove trova una pompa che la riporta all’inizio.

La storia della fontana, altro che Cappuccetto Rosso o Cenerentola.

Lì vicino si apre la piazza dei Signori, con l’adiacente piazzetta Palladio (tanto per essere originali).

La piazza dei Signori è un luogo di ampio respiro, veramente estesa; il giovedì mattina ha luogo uno dei principali mercati, e si riempie di bancarelle. Per girarle tutte si fa una serpentina di tre giri.

Nello stesso luogo una domenica al mese si tiene il mercato dell’antiquariato.

È anche la piazza dove a San Silvestro si festeggia l’arrivo del nuovo anno.

La piazza dei Signori è costeggiata su uno dei lati lunghi dalla Basilica Palladiana, affiancata dalla torre bissara.

Su uno dei lati corti si trovano due colonne.

Una volta ho sentito una guida turistica raccontare che venivano utilizzate per le pubbliche esecuzioni ma non ho trovato riscontro di questo; per certo alle mie figlie piace scalare la gradinata che fa da base e sedersi in cima a mangiare il gelato.

Sull’altro lato si trovano la loggia del capitaniato ed altri palazzi.

Nel periodo natalizio dalla torre bissara vengono calate le luminarie a mo’ di tenda, fissate dal lato opposto sulla sommità dei palazzi di fronte: è uno spettacolo luminoso che fa da cappello allo spettacolo architettonico sottostante.

La Basilica Palladiana è ritenuta patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Pur chiamandosi Basilica non si tratta di un luogo sacro, nè lo è mai stato: è un palazzo dove si svolgevano anticamente le attività commerciali e le assemblee della cittadinanza.

La copertura era stata realizzata in rame, ed ora è completamente verde.

Nel periodo tra marzo e novembre l’accesso al piano superiore è aperto al pubblico: il panorama che si apprezza dal loggiato e la sensazione di importanza che si prova seduti al bar sul terrazzo guardando la città dall’alto valgono indiscutibilmente il prezzo dell’ingresso.

Nel periodo invernale la sala della ragione ospita qualche mostra, per la quale si formano lunghe file di attesa nella piazza.

Attualmente è in corso la mostra ‘Tra il grano e il cielo’ dedicata a Van Gogh.

Dal terrazzo sopra la Basilica si intravvede il santuario di Monte Berico oh, palcoscenico oh, stratosferico oh come cantava un tormentone di qualche anno fa che imitava la parlata di Galeazzi.

Andare a messa a monte, in segno votivo alla matrona della città, la Madonna di monte Berico appunto, è un’usanza diffusa, almeno a parole; il pellegrinaggio al santuario è generalmente preceduto dalla salita con le scalette, una ripida rampa di accesso.

Dall’ampio piazzale antistante il santuario si può rimirare l’intera città, in particolare spicca la copertura verde della basilica. Ci sono anche i potenti cannocchiali a moneta; si vede meglio ad occhio nudo, perché non funzionano, ma intanto la moneta se la sono tenuta.

Il piazzale di monte Berico è un luogo ritenuto romantico, offre un panorama affascinante ed è comunque un posto tranquillo.

Se visitate Vicenza e avete un po’ di tempo a disposizione vale sicuramente la pena di spendere un’ora per il teatro olimpico, opera indovinate un po’ di chi, anch’esso patrimonio dell’umanità per l’UNESCO.

Io ci ero andata con la scuola elementare, la scenografia fissa è particolare: un dipinto sul muro che ricrea una prospettiva incredibile, sembra un porticato alto e profondo invece se una figura umana vi si appoggia si realizza che è tutta un’illusione.

In città ci sono due parchi principali: uno molto grande che è il parco Querini, ospita al suo interno un tempietto.

L’anello perimetrale misura circa 1 km; lo ricordo bene per le corse campestri scolastiche ma è anche molto usato per il jogging in generale. Ospita un percorso ginnico attrezzato adatto a tutte le età.

Un passaggio collega il parco direttamente all’ospedale civile; lì andavo a passeggiare con Sofia appena nata e mia mamma, che viveva i suoi ultimi giorni, quando se la sentiva.

L’altro parco è il Giardino Salvi, di estensione minore: nelle ore di educazione fisica a scuola ci portavano spesso a correre li. Ora lo apprezzo d’estate quando la domenica pomeriggio si tengono spettacoli teatrali per i piccini che però piacciono anche ai grandi.

Lì vicino il campo Marzio, che non è un vero e proprio giardino, ma uno spazio aperto frequentato soprattutto a settembre quando ospita il luna park itinerante.

Non posso chiudere la celebrazione di Vicenza senza citare la Rotonda, alias Villa Capra Valmarana, altro patrimonio dell’umanità.

La Rotonda (che non è una rotatoria!!!) si chiama così perché è una casa (villa) che ha le quattro facciate uguali. La si vede dalla Riviera Berica e in primavera è uno spettacolo nello spettacolo, immersa nei fiori che sbocciano spontanei in questa stagione.

La si può anche visitare, ma trattandosi di un’abitazione privata le visite hanno orari molto limitati, e il prezzo dell’ingresso non è popolare.

Nel caso vi suggerisco di limitarvi al giardino, da cui si rimira in tranquillità l’esterno. Ci sono anche delle panchine e nessun limite di tempo, così ci si può godere in santa pace la parte preziosa dell’edificio.

Gli interni sono allestiti tipo palazzo reale al piano terra, in una ricostruzione asettica; il piano superiore invece è chiuso al pubblico.

Ecco, io 5€ per fare entrare qualcuno nell’atrio a casa mia eviterei di chiederli, e anche di farlo entrare.

Tirando le somme (The end)

Finora ho parlato degli aspetti critici, ma per completezza va detto come stanno le cose dal punto di vista paesaggistico.

La costa si sviluppa alle pendici di una catena montuosa: il litorale è ghiaioso (ad eccezione di alcune baie e di Saranda / Ksamil).

L'ingresso in acqua non è dei più agevoli perché i sassi pungono i piedi e la ghiaia sprofonda. Dopo pochi metri dal bagnasciuga già non si tocca più.

Grazie all'assenza di sabbia l'acqua è limpidissima, di un azzurro quasi trasparente. La temperatura dell'acqua è tendenzialmente fredda, ma una volta immersi gradevole.

Per me che odio la sabbia che si attacca ai piedi e che non ho difficoltà a stare a galla è una situazione ottimale; mi rendo conto che altri possono non giudicarla allo stesso modo.

Il clima è splendido: fa caldo ma è sempre ventilato e comunque non c'è umidità; alla sera fa fresco.

La cucina non offre ampie alternative ma a me il pesce piace quindi non avverto l'esigenza di qualcosa di diverso.
Zuppa di pesce; risotto ai gamberi o linguine allo scoglio; branzino o orata alla griglia, calamari grigliati o fritti.
Il tutto assaporato con vista mare

Sempre disponibili anche la carne (filetto di pollo o di maiale), le insalate (cetrioli inclusi), la pizza, i formaggi, le crêpes, le patate fritte e le verdure grigliate.

Frutta fresca e molto saporita (piatti di anguria, melone e pesche a tocchetti).

In spiaggia ci sono i venditori ambulanti e passano a proporre frutta fresca (lamponi, ribes, uva, fichi, banane).

I prezzi sono oltremodo interessanti: a pranzo per dare un'idea mangiamo in 4 (ok, 2 adulti e 2 bambini) con la cifra che in Italia ti chiedono in certe pizzerie per una persona. Solo che noi 4 mangiamo pesce.

A Tirana incontrare degli italiani mi pareva una cosa straordinaria: quando sei all'estero e senti parlare la tua lingua ti sintonizzi subito, è come se tra mille colori tu riconoscessi proprio lo stesso pantone di qualcosa di tuo, e inevitabilmente ascolti, e poi socializzi (io, ma forse si tratta più di arte nell'attaccare bottone la mia?).
Invece di italiani ce ne sono molti, indicativamente un 30% del turismo, tanto che ho incontrato anche un collega nuotatore master.

Secondo la locandiera di Ksamil il turismo italiano e francese è diventato molto presente, a suo dire il 50% del totale, da quando le reti televisive nazionali hanno trasmesso, in Italia e in Francia, un documentario della durata di mezz'ora sulle coste albanesi.

Credo che nel giro di pochi anni comunque arriverà anche al 70%.

Se la consiglio come meta delle vacanze?
Dipende!

Se la vostra idea di vacanza è legata ai comfort NO.

Esistono chiaramente diversi livelli di strutture ma di fondo il contesto rimane lo stesso, e chiudersi in una prigione dorata ha poco senso, per il mio modo di vedere.

Il bello di girare è anche rendersi conto con mano di come si vive nel resto del mondo, sia pure dal punto di vista vacanziero.

Se non potete rinunciare alle serie TV, a internet, al gioco aperitivo, al servizio al tavolo preciso e puntuale, alla piscina, alle passerelle serali, ai capelli sempre in piega… lasciate perdere.

Ho trovato, sotto certi aspetti, anche meno di ciò che mi aspettavo: per alcuni beni contavo di acquistare sul posto ciò di cui avevo bisogno (pile AAA, balsamo per capelli, prodotti generici per l'igiene personale) scoprendo che sono difficili da reperire.

Se al contrario amate il mare, il buon pesce, il paesaggio incontaminato
e accettate un ritorno al secolo scorso per un periodo di stacco, questo posto va benissimo.

Non c'è stata una spiaggia dove il panorama non fosse mozzafiato, non c'è stato un locale dove posso dire di aver mangiato male.
Il tutto a prezzi assolutamente contenuti.

Per il resto io non chiedevo di più.

La zona è un paradiso terrestre tale che ci si potrebbe incontrare Adamo ed Eva, da quanto è rimasto immutato.

Alle spalle i monti, davanti il mare, silenzio interrotto dal canto degli uccelli.

È sicuramente necessario un po' di spirito di adattamento, ma si viene ampiamente ripagati 'in natura'.

Non saprei dire se il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi sia auspicabile per due ordini di motivi.
Il primo è che costruire, cementificare, aggiungere offerta ha inevitabilmente l'effetto di guastare ciò che è, e di attrarre molte persone che fanno il resto del danno.
Il secondo è che i costi degli interventi vanno a ripercuotersi sugli utenti finali, cioè i turisti.

Di posti celestiali dove si spende tanto ce ne sono già parecchi, sia a breve che a medio-lungo raggio.

Sono stata una settimana a Formentera nel 2006, tanto per fare un esempio, e ricordo ancora di aver pagato 17€ per un mohito e una birra presi da un camioncino ambulante. O 25€ per due daiquiri a Mykonos, nel 2009.

Qui invece comodamente seduti al bar un espresso costa l'equivalente di 0,50€, e siamo nel 2017.
Un pranzo in riva al mare per quattro persone a base di pesce lo abbiamo sempre pagato una cifra variabile tra i 25€ e i 30 €, bibite gelati e caffè compresi.
Se si scelgono menù più semplici la spesa si aggira attorno ai 15/20 €.

I lettini in spiaggia 'a casa mia' (intendo Sottomarina, non aggiungo altre considerazioni) costano 7€ cadauno. Questa stessa cifra è richiesta qui per una postazione di 4 lettini, più due ombrelloni.

I villaggi turistici del mar rosso funzionano col metodo all-inclusive: paghi anticipatamente ogni possibile servizio, compreso un quotidiano buffet luculliano e la finta amicizia degli animatori.

Io preferisco scegliere di volta in volta cosa mangiare, senza esagerare e senza farmi mancare nulla.

È vero che si può optare anche per il fai da te: un appartamento con cucina, con tanto di spesa da fare, pasti da preparare, un minimo di riassetto quotidiano. Ma allora è il concetto stesso di vacanza che viene un po' sacrificato.

Saranda, Ksamil e… vaffanbagno

La prima meta che ci era stata suggerita come destinazione del soggiorno albanese era Saranda. Approfondendo un po' abbiamo aggiustato il tiro verso Borsh, ma ci era rimasta la curiosità.

Un giorno abbiamo deciso di investire un paio d'ore di strada per visitare comunque il luogo.
Saranda si trova a circa 30 km a sud di Borsh, che è una distanza pari a quella che copro quotidianamente per recarmi al lavoro in mezz'ora scarsa.
Qui ovviamente i tempi di percorrenza si dilatano a dismisura perché è strada di montagna, e non intendo il Brennero.

Oltre ai cavalli, le capre e le vacche di cui ho già detto, bisogna rispettare i tempi di altri elementi nel senso di marcia: l'andatura rallenta attraversando i centri abitati, fino a procedere a senso unico alternato davanti ai locali dove le auto sono parcheggiate in modo da lasciare il passaggio solo ad una (un posto in particolare mi ha colpito: un vero e proprio garage attrezzato a bar, ovvero dotato di un frigorifero, nel quale si radunavano una quindicina di uomini).

Fuori dai centri abitati ci sono i cicloturisti; c'è il nonno col nipote in motorino (il nipote alla guida, il nonno dietro); ci sono le donne sedute sul ciglio a conversare; ci sono gli automobilisti oltremodo prudenti e quelli che invece non lo sono affatto.

Insomma più di un'ora per arrivare a Saranda.

Da distante si riconosce già un grosso agglomerato di case, poi facendo ingresso nel paese si incontrano diversi tizi che ti propongono un alloggio: li riconosci perché sorreggono un cartone su cui è scritto con un pennarello HOTEL o ROOM FOR RENT.
Se il vostro lavoro vi sembra poco stimolante ricordate sempre che c'è chi per professione sostiene un'insegna.

Più ci addentriamo nel centro abitato e più ho la sensazione di trovarmi in una delle nostre località balneari a ferragosto quando questo cade di domenica.

E dire che dopo la terza domenica di agosto credevo, a giudicare dallo svuotamento di Borsh, che fossimo rimasti i soli in vacanza.

Il litorale a questo punto della costa diventa sabbioso, ma non si tratta di una sabbia finissima che intorbida l'acqua: lo specchio rimane azzurrissimo a riva, e blu qualche metro oltre.

Ci sono numerosissime spiagge e altrettanti bar, ristoranti, negozi.
L'unica cosa che manca è il parcheggio.
A guardare dal piano strada non sembra nemmeno ci siano molti posti liberi in spiaggia.

Procediamo oltre verso Ksamil, una località molto rinomata ma meno conosciuta, che si trova decina di km più avanti, speranzosi di trovare un posto al sole, o magari anche all'ombra.
Meno conosciuta forse solo da noi: ci ritroviamo in quello che può essere l'equivalente balneare di un centro commerciale al 24 dicembre alle cinque del pomeriggio, cioè un delirio di gente.

Qui il parcheggio c'è (a pagamento ma c'è); una volta in spiaggia cerchiamo di individuare un metro quadro dove stendere l'asciugamano, uno per tutti noi quattro, ma non c'è. Non c'è spazio nemmeno per un francobollo; nemmeno posti in piedi.
Si avvicina un ragazzo a chiederci cosa vogliamo; avete ombrelloni? No. Ripiego: pedalò? No.
A quel punto, non avendo intenzione di chiedere un permesso di soggiorno, abbiamo rinunciato a distenderci al sole e ci siamo accontentati di un semplice bagno.
Fondale sabbioso, acqua cristallina, discesa graduale, temperatura perfetta: evidentemente sono elementi che aggradano ai più.

Riduciamo quindi l'intera giornata a un bagno e un pranzo. La locandiera sembra felice di avere ospiti italiani, parlo bene l'italiano afferma.
Perfetto così posso sgomberare tutti i dubbi che ho ogni volta davanti a un menù.
Ecco diciamo che il suo italiano era ancora molto 'to be improved' ma per tradurre al meglio ho deciso di provare direttamente, così la gita si è conclusa con un'ottima saganaki shrimps.

I ristoranti e le spiagge

Ogni giorno ci spostiamo a visitare una spiaggia diversa, e anche mangiamo in un posto diverso: a pranzo nel ristorante in spiaggia, a cena dove ci ispira.

Ogni volta lo stesso copione: can you tell me the password for the Wi-Fi?
A parte che il risultato spesso è vano perché il Wi-Fi c'è ma non si vede, e se si vede dorme, ma è interessante scoprire i meccanismi di composizione delle parole chiave, tutti fottutamente identici e nessuno prevedibile!
In genere la password è composta dal nome del locale più una sequenza di cifre, che possono essere l'anno 2017 o 1234 o 001. In un caso era 'non te lo dico' nell'idioma locale.

Comunque il fatto di aggiungere tutte queste reti al mio smartphone ha fatto sì che a fine vacanza mi bastava spostarmi di qualche centinaio di metri per agganciarmi all'uno o all'altro router.

Un giorno nel nostro peregrinare di lido in lido approdiamo ad un sito affollatissimo; è strano perché nemmeno il giorno di ferragosto abbiamo faticato a trovare posto. In prossimità della destinazione vediamo che le auto che cercano parcheggio vengono divise in due flussi; immaginiamo che uno sia il parcheggio a pagamento e l'altro libero. Abbassiamo il finestrino per proporre la quota necessaria e ci chiedono dove siamo diretti: restaurant? Foam party?
In effetti alcuni cartelloni affissi lungo la discesa pubblicizzavano l'evento, inizio ore 13,30, con la presenza di una star locale.

Ora forse io sono un po' fuori dai giri ma ero rimasta che gli schiuma party erano tipici delle nottate nelle discoteche di Ibiza. Con 40 gradi al sole e dopo aver spalmato la lozione solare ho due desideri alternativi: stendermi sul lettino o tuffarmi in acqua, non certo avventurarmi nella bolgia tra la schiuma.

Alla nostra risposta 'beach' ci indirizzano verso una meta imprecisata… (a quel paese?).

Il giorno del compleanno di Viola, ci siamo svegliati con una fastidiosa sensazione, che si è rivelata essere una forma di gastroenterite. Per fortuna le bambine sono rimaste incolumi. Fortuna per modo di dire perché alle richieste 'Andiamo a fare il bagno? Giochi con me? Mi porti in spalla? Mangiamo il gelato?' era difficile dare risposte esaurienti. Ci siamo alternati nella gestione ed intrattenimento delle piccole. A me tra altri momenti è toccato quello della cena. Siamo andate in una creperia e mentre attendevamo le nostre portate
SQUAAAASHHHH
su un tavolo accanto al nostro un tendone di copertura, sovraccarico dell'acqua accumulata durante una pioggia pomeridiana, ha scaricato una secchiata sopra tre avventori che serafici hanno cambiato tavolo.
Se fossimo stati noi sotto con una torta di compleanno si sarebbero spente le candeline in una maniera così singolare che Viola lo avrebbe ricordato a lungo!

Una sera scegliamo un ristorante lungo il mare, ma dal lato opposto della strada, che è l'ultimo del centro abitato. Quando entriamo è semi vuoto, ma c'è una tavolata apparecchiata per 25 persone suppergiù.

Mentre attendo seduta al tavolo osservo tre donne che entrano, di età diversa ma molto somiglianti l'una all'altra.
Alla spicciolata arriva tutta la compagnia e occupa la tavolata; gli uomini costituiscono la minoranza, si spalmano sulle sedie e non si muovono più. Le donne, di tutte le età tra i 15 e i 75, sono varianti dello stesso clone.
Se sono rimaste sedute più di 20 secondi consecutivi tutte quante io sono Belen Rodriguez.
Prima si sono salutate e abbracciobaciate a due a due; poi hanno scattato un servizio fotografico a tutte le possibili combinazioni di gruppi di tre o quattro.
Hanno brindato, rigorosamente in piedi, mentre la più giovane tentava di addormentare il fratellino o cuginetto che fosse, per aggiungerlo alle fila degli uomini spalmati (lui nella culla anziché sulla sedia).

Quando hanno servito le portate in tavola credevo si sarebbero finalmente sedute e avessero lasciato campo libero al povero cameriere che doveva fare le gimcane per portare i piatti ai commensali; invece hanno iniziato a danzare.
La musica nel locale ha alzato i toni, è partita una selezione di melodie balcaniche e hanno proseguito con un ballo di gruppo molto simile a un sirtaki.

La casa e le strade

Abbiamo preso alloggio a Borsh, un paese situato lungo la costa sud dell'Albania.

Il gestore della pensione assomiglia vagamente a Donald Trump, ma più simpatico. Alla mattina durante la colazione, se le vespe superano il livello di guardia, si premura di dotarci di palette per scacciarle. Si vede che siamo poco avvezzi a vivere attorniati di vespe: una mattina ha deciso di darci una dimostrazione pratica di come si fa. Ha preso la paletta e si è messo ad agitarla che sembrava Donald Duck quando zio Paperone gli rifiuta un prestito: saltava su e giù dimenando il braccio e la paletta. Immaginatevi Donald (Trump, o Duck come preferite), 130 kg d'uomo in canotta e shorts, che salta su e giù per cacciare una vespa solitaria (si perché per la demo ha scelto l'invasione di un solo insetto).

La pensione non dispone di un proprio parcheggio ma poco oltre l'edificio c'è un area dove molti, noi compresi, lasciano l'auto; ogni volta che scendiamo dall'auto, dal nulla proprio come un ectoplasma, compare un uomo che ci alza il pollice, in segno di I Like (your parking); altrimenti ce la fa spostare.

In realtà non abbiamo capito esattamente cosa voglia comunicarci: spostare l'auto? Parcheggiare altrove? Pagare una quota per l'occupazione del suolo? Consigliarci un ristorante dove andare a mangiare? O più semplicemente scambiare due chiacchiere?

Il lungomare di Borsh è una strada non asfaltata e i gestori dei locali alla sera annaffiano il passaggio, per ridurre la formazione di polvere. Un po' come i nostri pensionati che annaffiano i pomodori.

Per spostarci a visitare altri lidi dobbiamo percorrere una strada montana perchè non esiste una vera e propria strada costiera.

Se durante il viaggio di andata mi ero sorpresa per le vacche in carreggiata poi ci ho fatto l'abitudine: capre, vacche, cavalli, ciuchi, galline, cani, sulla strada che costeggia il monte non manca nulla dall'allegra fattoria.

Durante i tragitti l'occhio è allietato dal panorama: montagna da un lato e mare dall'altro. Anche l'orecchio ha la sua parte perché l'autoradio si sintonizza facilmente su RTL, Radio Dj, Radio KissKiss; e anche ovviamente su Radio Maria.

Il traffico per le vie è una sfida alla statistica: le strade sono strette, dire il manto disconnesso è un eufemismo, la segnaletica orizzontale inesistente, i parcheggi sono sospensioni della marcia, il rispetto delle precedenze una scelta di vita, ovvero solo alcuni lo praticano. Le auto si sfiorano di continuo ma stranamente non si centrano con la stessa frequenza che ci si aspetterebbe.
È come se ci fossero le aerovie, ogni mezzo va per la sua strada senza interferire con gli altri.

Un giorno risalendo da una spiaggia avevamo davanti un SUV; nella direzione opposta scende un grosso fuoristrada. La carreggiata permette a stento il passaggio delle due auto, che si incrociano senza che nessuna delle due adegui la velocità all'incontro dei mezzi. Si mancano con gli specchietti di pochissimi centimetri.
Il conducente del SUV davanti a noi esce un braccio dal finestrino, che io interpreto come un sincero vaffa. La Jeep inchioda e ingrana la retro, risalendo la china. Se prima si erano mancati ora se le vanno a cercare; immagino già la scena di questi che scendono, l'alterco che sfocia in rissa e noi testimoni oculari.
Invece no
CARRAMBACHESORPRESA
sono amici che si sono ritrovati e riconosciuti al volo, si fermano a salutarsi.