Sapevo in parte cosa mi attendeva, anzi proprio perché lo sapevo ho voluto affrontare questa sfida.
Avevo letto numerose recensioni, avevo capito che si trattava di un libro lungo (oltre le 1000 pagine) e ho voluto approfittare delle vacanze estive per affrontare una lettura unica anziché tanti libri di media dimensione.
E poi ero incuriosita dall’immagine di copertina.
Sapevo che il contenuto era sventurato e non farò spoiler raccontando brevemente che si narra di quattro amici legati da sentimenti profondi. Uno di questi, Jude St. Francis, ha avuto un’infanzia tormentata, oltremodo difficile. A causa di ciò assume nel resto della sua esistenza dei comportamenti autolesionistici.
Gli altri tre amici gli vanno, seppur in misura diversa, in soccorso.
La storia copre l’arco delle loro esistenze dai tempi del college in poi, e questo giustificherebbe la mole di pagine.
Avevo già afferrato che si trattava di storie tristi, dure, difficili.
A nessuno di loro manca la disponibilità economica ed è anche fastidioso leggere tanto spreco di possibilità che la vita offre: vero è che i soldi non fanno la felicità ma tanto valeva aggiungerci anche un po’ di povertà a tutte ste sofferenze, visto tanto impegno per inventarsi le sfighe una dietro l’altra.
Temevo a dire il vero un po’ di accanimento, una tendenza a rimestare nel torbido, una serie di pagine per stomaci forti.
Invece mi sono ritrovata di fronte a tanta ripetitività, a storie narrate “dietro a un finestrino”, a lasciar immaginare anziché coinvolgere.
Da un autore mi aspetto che mi prenda e mi conduca anima e corpo dentro la situazione: non dirmi che piove ma portami sotto l’acqua e fammi inzuppare i vestiti, fammi uscire fradicio dalle tue righe, fammi rimpiangere di non avere un ombrello.
Invece tutta una serie di allusioni, di sottintesi, di riferimenti vaghi.
Tante liste di nomi, di giorni della settimana e di mesi che si succedono, di compleanni.
Tanti, tantissimi, giorni del ringraziamento.
Stephen King ha scritto un saggio, intitolato On Writing, nel quale dispensa consigli di scrittura.
Ricordo bene che uno di questi consigli invitava a tagliare le parti in eccesso. Raccontava che durante la stesura di un suo romanzo aveva trascorso delle settimane a scrivere una digressione molto dettagliata su un personaggio. Poi si rese conto che non faceva parte della storia e che anzi era superflua, che la vita di questo personaggio interessava solo a lui. Così la taglió, senza nulla togliere al romanzo.
Avrebbe fatto bene anche Hanna Yanagihara a fare altrettanto.

Non saprei, mia figlia l’ha letto e ne è entusiasta, io ce l’ho in nota di lettura
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Mi farai sapere quando deciderai… sono curiosa
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Non so quando, ho una “pacca” di libri da leggere, soprattutto polizieschi
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Sicuramente più avvincenti…
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Dipende dai gusti, per mia figlia no
😉
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Sai che io invece l’ho amato? A me è piaciuto tantissimo, forse poteva essere più breve, ma la lunghezza non mi ha spaventata e l’ho praticamente divorato in pochi giorni! Mi ha fatto incazzare tantissimo, mi ha fatto commuovere e mi ha fatto pensare. Quando l’ho finito ho continuato a pensarci per settimane, perché non è facile raccontare l’orrore e il dolore. Non so, io non avevo letto mia roba così emotivamente forte, ma così scritta bene.
(Ciao Elena, che bello rileggerti!😍❤️)
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Che sia fluido e si legga facilmente convengo.
La storia a mio giudizio un po’ forzata, e non è riuscita a convincermi.
(Mi piacerebbe ‘ritornare’ su questo mio blog, ci provo, vediamo se ci riuscirò… grazie 🤩)
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