Parole di Vicenza (e dintorni): la s-c

Dopo il successo di s-ciapo e la pioggia di richieste che ne è conseguita (due sono una pioggia no?), oggi ritorno alla mia rubrica dialettale con un gruppo di vocaboli che contengono la coppia di consonanti s-c.

Abbiamo già citato il mas-cio, detto anche porseo (maiale, porcello).

Non abbiamo però detto che al maschile la parola che porta S-C in principio, pur iniziando con la S regge l’articolo il / un e non lo / uno.

Esempio:
el s-ciopo o un s-ciopo è lo scoppio, anche sineddoche di fucile, attrezzo che emette lo scoppio;

el s-ciantiso è la scintilla; mia nonna chiamava s-ciantisi quelle candeline scoppiettanti che a volte si mettono sulle torte.

L’aggettivo s-ceto deriva da schietto e significa appunto schietto, sincero (‘dighelo s-ceto = diglielo onestamente’); oppure significa puro, non contaminato (vin s-ceto è il vino non allungato con acqua).
La s-cianta è la scheggia; trattandosi di una quantità molto piccola di materiale, la s-cianta si intende anche come una piccola parte di qualcosa; tipicamente è quanto avanza in un piatto di portata (ghi n’è vanzà ‘na s-cianta, chi xe che lo vole? ne è avanzato un pochino, chi lo vuole?); in realtà la s-cianta non è un quantitativo troppo esiguo, perché trova spazio per il diminutivo s-ciantinea, piccola s-cianta.
Dopo il temporale il tempo se s-ciara, cioè si rischiara.
El s-ciocco non è lo sciocco, altrimenti detto stolto, ma lo schiocco (s-cioccare i dei = schioccare le dita; tirare un s-ciocco = essere colpiti da attacco cardiaco, spesso in senso figurato, inteso come non sopportare più la fatica, arrendersi).
Da s-ciocco deriva anche s-cioccarola, che identifica l’organo sessuale femminile, ma di cui non riesco a ricostruire l’etimo.

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